Europa, Lesbos e la nostra umanità

Intervista a Nico Piro inviato Rai nelle zone calde del pianeta. Cosa accade a Lesbos? Come si collega alla strategia di Erdogan? Che ruolo dovrebbe avere l’Unione europea?
Moria Lesbos, Greece, AP Photo/Michael Varaklas

Il futuro dell’Europa si gioca sul confine tra Grecia e Turchia. Su questo concordano differenti e opposti punti di vista. C’è chi chiede di concorrere alla difesa del varco greco, di terra e di mare, contro l’arrivo di migranti “illegali”, e chi invoca un intervento comune per la creazione di corridoi umanitari almeno per i bambini e i soggetti fragili presenti sulla frontiera. Analizzeremo con attenzione le scelte dei vertici Ue che il 3 marzo hanno visitato la zona di frontiera che risente di equilibri geopolitici più ampi. Nel frattempo abbiamo chiesto un’opinione ad un testimone diretto di ciò che accade in quel quadrante geografico.

Nico Piro è un noto giornalista televisivo della Rai, corrispondente dalle zone calde del pianeta, che poi sono a noi molto vicine come Lesbos, in Grecia. Lì, ad inizio febbraio, Piro ha subito forti intimidazioni e un tentativo di aggressione da parte di estremisti di destra mentre cercava di documentare le estreme condizioni dei migranti costretti a non potersi muovere da quell’isola. Una situazione intollerabile che sta aggravandosi con la pressione esercitata da Erdogan, che ha deciso di non contenere più il flusso di migranti in arrivo in Europa, nonostante l’accordo miliardario con la Ue.

L’emergenza coronavirus oscura  le altre notizie, ma il picco di ascolti è alle stelle con il crescere della paura e della incertezza. Le immagini che arrivano dalla Grecia non possono lasciare comunque indifferenti.  «Occuparsi di crisi dimenticate, lontane, è difficile. Spesso è un lavoro solitario, controcorrente lo è sempre», ci dice Piro che abbiamo intervistato.

Come si può leggere ciò che sta accadendo in Grecia?
Seguo quel Paese da anni e la continuità permette di capire cosa altrimenti incomprensibili. La recente vittoria di Kyriakos Mītsotakīs, nelle elezioni nazionali del luglio 2019, si può spiegare con la sua capacità di drenare consensi alle forze nazionaliste panelleniste ed estremiste, come Alba Dorata, brandendo posizioni anti migranti senza rispondere a domande esplicite come quella che gli ho posto in conferenza stampa sulla possibilità di “sigillare il confine marino”. Di fatto, il primo ministro ha deciso, in prima battuta, di sciogliere il ministero che si doveva occupare di migranti e rifugiati, per poi cambiare la legge sul diritto di asilo ponendo degli ostacoli insormontabili. Del tipo che anche l’assenza per malattia del migrante davanti al prima fase di giudizio sull’ammissibilità della richiesta di asilo comporta il passaggio diretto alla fase di appello. Nessuna giustificazione è stata concessa anche a donne incinte ricoverate presso strutture pubbliche. La nuova legge ha comportato la cancellazione delle liste di attesa delle 80mila richieste avanzate fino al 2019, perché sono state trattate con priorità quelle presentate dal primo gennaio 2020, giorno di entrata in vigore della normativa che considera ad esempio la richiesta di un interprete come comportamento non collaborativo e pertanto motivo di rigetto. Un caos che si associa alla sospensione dei trasferimenti dalle isole dell’arcipelago verso la terraferma.

Questa politica che effetto ha avuto su Lesbos?
Oggi ci troviamo con un numero di persone confinate a Lesbos che è superiore a quello del 2015, quando vi passarono mezzo milione di persone. Nel campo di Moria, ex base militare sull’isola, c’erano 5 mila persone nel giugno 2019, prima delle elezioni, mentre oggi siamo arrivati a 20mila. A mio parere si tratta di un emergenza creata a tavolino, se metto un villaggio di 500 persone accanto ad un migliaio di migranti accampati in una baraccopoli. Una situazione che provoca reazioni prevedibili tra i residenti, che si sentono come intrappolati sull’isola. L’aggressione che ho subito ad inizio febbraio mentre riprendevo una migrante caduta a terra per la carica della polizia è stata solo l’inizio di una serie di azioni che prendono di mira giornalisti e operatori delle ong. Proprio in quei giorni sono stati arrestati degli estremisti di destra facenti capo ai gruppi di tifosi del Panathinaikos, che assieme ad altre organizzazioni del genere soffiano sul fuoco di un disagio che aumenta all’annuncio di nuovi centri di detenzione in costruzione a Lesbos.

E come si lega questa situazione con le pressioni del flusso dei migranti indotte da Erdogan?
Alla strategia della tensione in atto sulle isole si associa quella adottata dal presidente turco, al quale nel 2015 si è rivolta l’Europa con la richiesta di arrestare il flusso balcanico dei migranti compensato dal versamento di aiuti per 6 miliardi di euro. Un accordo che è passato sopra alle critiche sul rispetto dei diritti umani in quel Paese e alle accuse di finanziare l’Isis in Siria. Un accordo “cattivo”, perché contrario ai valori dell’Europa, che è stato fatto consegnando nelle mani di Erdogan l’arma del ricatto costituita da una bomba umana che ora è pronta ad essere utilizzata per alzare il prezzo con l’Europa e mettere in crisi la Grecia. Anche perché con l’intervento turco in Libia si è creata una zona geografica del Mediterraneo considerata di loro competenza esclusiva. Ritorna la questione della proprietà degli idrocarburi intorno a Cipro e ai motivi di egemonia della guerra greco-turca di un secolo addietro. Questo è uno dei motivi di tensione altissima che si vive in quell’area al di là della questione dei principi morali che sono in gioco. Ho visto i campi profughi più grandi del mondo, dal Bangladesh al Sudan, Afghanistan fino a Calais in Francia, eppure le condizioni di vita che ho visto a Moria sono peggiori, indescrivibili.

Cosa ci dice l’accordo con la Turchia?
Questo accordo con la Turchia ci offre la conferma che alla questione complessissima delle migrazioni non si possono dare risposte semplici, che servono a raccogliere consensi nelle elezioni, ma non a risolvere il problema. Anzi lo aggravano. A che serve dare altri soldi a Erdogan, che ha 4 milioni di migranti che usa come arma di pressione, avanza pretese in Siria e sul Mar Mediterraneo sotto la spinta di suggestioni neo-ottomane? Si è preferito adottare tale scelta invece di imporre una linea di redistribuzione dei migranti tra tutti i Paesi, compresi quelli di Visegrad, e in tal modo Grecia e Italia sono lasciate da sole a subire i contraccolpi di strategie errate. Teniamo presente che il flusso di migranti da Idlib è la conseguenza dell’intervento militare turco, che vuole creare una zona cuscinetto sul territorio siriano, dopo aver sferrato l’attacco ai curdi. Agitare il problema dei migranti trasformando Lesbos da isola dell’accoglienza a luogo del rancore aggrava solo la situazione, che è determinata da nodi politici che non si vogliono sciogliere.

Che lezione possiamo trarre da ciò che sta accadendo in questi giorni?
Tempo fa ho intervistato Stratis Valiamos, il pescatore di Lesbo candidato nel 2016 al Nobel per la pace per la sua attività di accoglienza dei migranti, che mi diceva di essere intervenuto dopo aver sentito alla radio lo scontro tra autorità turche e greche, che si rimbalzavano la responsabilità di salvare delle persone in mare. Le immagini della guardia costiera greca che colpisce e respinge il gommone dei migranti è inaccettabile, ma è inquietante la reazione purtroppo prevedibile dei residenti in quelle isole, costretti a vivere uno stato di tensione permanente con il divieto di trasferimento nel continente delle persone transitanti. E tra queste ci sono soggetti vulnerabili, bambini con patologie gravi. Io ne ho incontrato uno nel campo affetto da una forma grave di idrocefalia che non può ricevere le cure necessarie. Quando la misura è colm – 20 mila migranti costretti in quelle condizioni – l’ondata mossa da Erdogan finisce per produrre effetti devastanti. Cronisti e volontari delle organizzazioni umanitarie sono ormai costantemente sotto attacco. La cosa tragica della Grecia è che, secondo le statistiche più aggiornate, ben il 70% della popolazione si trova sul limite o sotto il livello di povertà e questa condizione estrema induce certa politica a trovare un motivo per poter parlare di altro. Così non possiamo credere di rinchiuderci nel nostro piccolo recinto disinteressandoci di ciò che accade nelle aree calde del Pianeta, perché gli effetti di scelte scellerate finiscono per toccarci da vicino.

 

 

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