Etna, il terremoto dimenticato

A Santa Venerina, sulle falde del vulcano, l’iniziativa organizzata dalle diocesi di Catania ed Acireale per richiamare l’attenzione delle istituzioni sul sisma del 26 dicembre 2018: 600 persone sfollate, ma la ricostruzione tarda.

Il corteo si è mosso nel penultimo giorno dell’anno. A un anno dal sisma che, il 26 dicembre 2018, scosse alcune zone dell’Etna (per fortuna senza vittime) distruggendo o rendendo inagibili alcune abitazioni a Zafferana Etnea (frazione di Poggio Felice), Pisano, Fleri, Santa Venerina ed Acireale (frazioni di Pennisi e Santa Maria La Stella).

Numerosi furono i danni ad edifici, soprattutto alle chiese. A Santa Venerina sono inagibili sei delle otto chiese della cittadina. Seicento persone furono costrette a lasciare le loro case.

Il 30 dicembre, su iniziativa dei vescovi di Catania ed Acireale, Salvatore Gristina e Nino Raspanti, un corteo si è snodato per le vie di Santa Venerina. Insieme ai vescovi, ai sacerdoti, ai cittadini, c’erano anche i sindaci, tutti insieme per chiedere allo Stato un intervento dopo il sisma che un anno fa sconvolse la zona: magnitudo 4,9 della scala Richter, il più violento della zona etnea degli ultimi 70 anni.

Il corteo si è concluso con un momento pubblico alla Casa del Vendemmiatore. È stato reso pubblico un documento che è stato inviato al presidente del consiglio Giuseppe Conte e al presidente della Regione, Nello Musumeci. La richiesta è semplice: ricostruire case, chiese, scuole distrutte dal sisma di un anno fa.

Dodici mesi dopo, la ricostruzione vera e propria non è ancora iniziata, i pochi interventi sono stati avviati dalla Chiesa con i fondi dell’8 per mille o dai privati. Nel frattempo, gli ultimi sfollati ospitati finora in alcune strutture alberghiere del litorale stanno facendo ritorno nelle case: per chi non ce l’ha più sono state trovate soluzioni diverse, ospiti di amici o parenti. Anche gli iter burocratici spesso non sono agevoli. La situazione più difficile è nella zona individuata come epicentro del terremoto, quello della cosidetta “faglia di Fiandaca”, con delle fagliazioni superficiali, cioè delle variazioni geomorfologiche, a volte visibili, a volte nascoste dallo stato superficiale di lava, estese per circa 8 chilometri. In quella zona si sono registrati i maggiori danni alle case ed alle strutture edilizie.

«Quest’anno è stato veramente difficile per chi è stato costretto a lasciare la propria casa – spiega una residente della zona –, vivere in albergo per un anno è estenuante: hanno un tetto, un alloggio caldo e accogliente, i confort, ma dopo alcuni mesi tutto questo diventa un problema. Si vive una vita da alienati, la quotidianità è a rischio. Molti hanno avuto dei danni alle case e attendono che si sblocchino le procedure per poter avviare i lavori, altri hanno fatto ricorso a fondi privati e sono riusciti a recuperare le loro case ed a rientrare. Ma tutti attendono che questa situazione venga sbloccata e risolta al più presto».

(ha collaborato Clara Digregorio)

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