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Lavoro e fiducia

di Chiara D’Urbano

Sono sposato con Marta e abbiamo due bambini di 8 e 4 anni. Sono responsabile di un laboratorio di produzione di farmaci in una grande azienda multinazionale, mi piace e sono orgoglioso di quello che faccio, cerco di vivere anche lì la mia vocazione di volontario. Da un paio di anni ho assunto questo ruolo […]. È un gruppo piccolo di persone che nel tempo – anche prima del mio arrivo – ha sviluppato una scarsa fiducia nell’azienda e nei dirigenti, compreso il mio responsabile. Anche le possibilità di crescita individuale e gli investimenti fatti nel laboratorio sono spesso giudicati con il dubbio del secondo fine… insomma manca totalmente la fiducia.

Ultimamente, anche da parte del mio responsabile, è stata adottata una posizione di sfiducia verso questo gruppo e – se anche non direttamente su di me – verso alcune mie scelte o ‘mancanza di polso’ nel far rispettare certe richieste. […] Io ho spiegato che […] la fiducia è l’unico modo con cui collaborare e che dobbiamo invece trovare il modo per accrescere la fiducia nei confronti delle decisioni dei vertici aziendali.

Andrea

Grazie Andrea per le sue riflessioni generose e anche per la domanda che pone, che in realtà esula dallo spazio più specifico di questa rubrica dedicata ai percorsi vocazionali, sacerdotali e di vita in comune. Tuttavia accolgo volentieri e con interesse quanto scrive.

Mi ha sempre fatto molto riflettere l’effetto Rosenthal altrimenti noto come effetto Pigmalione, re di Cipro il quale si innamorò di una statua da lui stesso scolpita. Era tale il suo desiderio che la statua fosse reale che ella prese effettivamente vita. Il corrispondente psicologico di questo mito tocca proprio il tema che lei sollecita: quello della fiducia e delle aspettative.

Per dirla in breve: lo psicologo Robert Rosenthal fece un esperimento in una scuola e verificò che i bambini su cui gli insegnanti avevano riversato aspettative maggiori, considerandoli migliori degli altri, per intelligenza e possibilità prestazionali più elevate – gruppo, in realtà, scelto causalmente dai ricercatori, ma indicato come quello che aveva superato più brillantemente dei test –, alla fine dell’anno avevano conseguito effettivamente un rendimento più alto.

L’atteggiamento positivo e incoraggiante dei docenti verso quegli alunni, aveva favorito l’impiego delle loro migliori risorse. L’esperimento dimostra che col nostro comportamento, attraverso i nostri desideri, e la fiducia che diamo agli altri, nel bene e nel male, finiamo con l’influenzare l’atteggiamento altrui, favorendolo in una direzione o in un’altra.

Sentirsi guardati con occhi positivi ci stimola ad essere persone migliori. Ricevere la stima di chi lavora accanto a noi, in qualche modo ci dà energie e ci “costringe” a dar credito al bello che ci viene rimandato. Naturalmente è vero anche l’opposto.

Dunque il suo atteggiamento, Andrea, è estremamente valido ed è l’unico modo per favorire la coesione e il rendimento di un gruppo. Lo hanno compreso diverse grandi aziende americane che stanno cercando di rendere i luoghi di lavoro quasi domestici, confortevoli, accoglienti, dove i dipendenti vadano volentieri e non debbano inventare vie di fuga o malattie di comodo. Ci sono addirittura spazi per praticare sport durante le pause, luoghi di ristoro ben curati perché il tempo del pasto sia davvero rigenerante, e attenzioni simili.

Per motivare le persone a dare il meglio di loro stesse, come anche tu rilevi, è necessario, allora, rendere belli i luoghi di lavoro, anche dal punto di vista umano-relazionale.

Coinvolgere i dipendenti nelle decisioni aziendali, nella misura del possibile, favorisce un senso di appartenenza e di responsabilità verso il lavoro che, invece di essere un adempimento arido e prevalentemente orientato al guadagno, diventa una sorta di “missione” o comunque una passione personale e non solo imposta dal di fuori.

Non c’è altra strada.

I responsabili di settore, i direttori, coloro che hanno ruoli di responsabilità dovrebbero acquisire competenze umane di conduzione e animazione dei gruppi proprio negli ambienti di lavoro. Creare un clima favorevole e cordiale, ma non per questo meno attivo o serio (anzi), migliora la quantità e la qualità dei prodotti.

Concretamente, Andrea: ascoltare chi lavora per avere un’opinione personale o un riscontro su ciò che sta facendo, o chiedere un consiglio per concordare una decisione, fa sentire meno estranei e favorisce un senso di fiducia verso l’azienda e i suoi capi.

Immagino che sia una sana strategia che lei già adotta, perciò non posso che incoraggiarla a continuare in questa direzione, nella speranza che il suo atteggiamento diventi contagioso e di esempio anche per l’ambiente circostante, incluso il suo responsabile.

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