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L'Esperto risponde > Salute

I bambini cinesi: nostri fratelli feriti

di Ezio Aceti

Sono spaventata per il virus. Mio figlio viene a contatto con bambini cinesi… Una mamma

Siamo giustamente tutti preoccupati per il “coronavirus”, che purtroppo ha già procurato moltissime vittime soprattutto fra i nostri cari fratelli cinesi. E, se da una parte è encomiabile come tutta la comunità scientifica cerchi in tutti i modi di contrastare e fermare il contagio, dall’altra è importante non perdere mai di vista la solidarietà e la vicinanza a tutto il popolo cinese.

Quindi massima e decisa difesa di fronte al virus, mediante tutte le azioni anche di isolamento necessarie, dall’altra però altrettanta determinazione nel evitare ogni discriminazione.

Alla televisione assistiamo ogni giorno a discussioni sui colpevoli e, mediante quel processo di generalizzazione che è presente nelle nostre categorie di pensiero, tendiamo a ghettizzare tutto un popolo, che, come noi e più, sta lottando e soffrendo.

I più ignari di tutto questo sono i bambini, che necessitano di essere tutelati e protetti in tutti i modi possibili. La vera protezione però non consiste soltanto nella prevenzione igienico sanitaria (che è sicuramente importantissima), ma nella prevenzione umana, legata a quei valori che come comunità vogliamo trasmettere.

Campagne di denigrazione del popolo cinese, o di ghettizzazione dei bambini stranieri, sono deleterie e violano i principi essenziali di umanità. Infondere nei bambini idee di disvalore o di minaccia nei confronti di altri bambini è un’azione disumana e foriera di sventura.

Invece, se siamo veramente intelligenti, dobbiamo incoraggiare i nostri bambini alla solidarietà verso gli altri bambini cinesi più sfortunati. Questa tragedia che ha colpito l’umanità necessita, insieme a tutte le difese (compreso anche l’isolamento), un surplus di solidarietà e di volontà di apertura verso chi è colpito dal virus.

Allora aiutiamo in nostri bambini ad aprire la loro solidarietà e il loro cuore ad altri bambini, mediante campagne di sensibilizzazione basate non sulla paura, ma sull’amicizia e sull’impegno verso quanti sono nella sofferenza.

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