Erdogan in Italia: affari e un richiamo alla pace

Il presidente turco Recep Tayyp Erdogan è venuto in Italia per una visita di Stato. Una visita diplomatica alla quale si è affiancata l’udienza concessa da papa Francesco, che faceva seguito a una recente telefonata avvenuta fra i due leader
Alessandro Di Meo/Pool photo via AP

Per capire il personaggio Erdogan, per molti versi inquietante, è istruttivo leggere l’intervista di Maurizio Molinari pubblicata su La Stampa del 4 febbraio 2018, alla vigilia del viaggio a Roma del presidente turco. Cogliere in diretta il punto di vista di Erdogan è interessante e insieme sconcertante. Da politico navigato qual è (primo ministro per 11 anni, da 4 e chissà per quanto ancora presidente della Repubblica), appare sempre molto sicuro di quanto sostiene, anche quando mette in luce solo ciò che gli conviene infilandoci dentro la “sua” visione della realtà come se fosse l’unica, incontestabile, evidente verità. In questo tipo di approccio Erdogan è da sempre un maestro. Guai a contraddirlo.

Stiamo parlando, per fare solo qualche esempio, di un Paese dove le carceri sono stracolme di prigionieri politici, oltre 50 mila arresti nell’ultimo anno e mezzo, giornali non allineati chiusi e 145 giornalisti attualmente in carcere, il presidente della sezione turca di Amnesty International detenuto da 8 mesi che viene rilasciato e arrestato di nuovo a poche ore di distanza, un qualunque tribunale politico che smentisce addirittura la Corte costituzionale sul rilascio di due illustri sospettati, e 110 mila impiegati statali licenziati in tronco per presunte simpatie verso il movimento di Fetullah Gülen, dichiarato pericolo pubblico numero uno. Questo naturalmente oltre i curdi e l’invasione del territorio siriano, oltre i 2 mila km di muri (realizzati o in costruzione) per difendersi dai “terroristi” in arrivo, e forse per rimediare alle varie decine di migliaia di foreign fighter del Daesh lasciati invece passare senza problemi nell’altra direzione appena pochi anni fa.

In questo quadro non sembra difficile capire perché L’Ue sia piuttosto restia ad ammettere la Turchia tra i suoi membri. Come presenta Erdogan la questione dell’ammissione della Turchia nella Ue? Così: «La Turchia ha ottemperato ai suoi obblighi di Stato-candidato ma non possiamo continuare questo processo da soli. Anche l’Ue deve fare la sua parte, a cominciare dal mantenere le promesse fatte»… «L’Ue blocca l’accesso al negoziato e lascia intendere che la carenza di progressi dipende da noi. È ingiusto»… «Ci aspettiamo che l’Ue rimuova il più presto possibile ogni ostacolo artificiale alla nostra adesione, assumendo un approccio costruttivo. L’adesione della Turchia non può essere sacrificata a calcoli di politica interna»… E via dicendo.

Gli incontri di Erdogan in Italia hanno avuto una valenza altamente economica, ben più importante di quelli istituzionali con il presidente Mattarella e il premier uscente Gentiloni. Lavoro e business aiutano a passare sopra a molte cose, come diritti umani, stato di diritto e curdi siriani. Alla cena di Confindustria c’erano le maggiori aziende italiane nel campo delle costruzioni, dei trasporti, dell’impiantistica, dell’energia, alimentari, non ultime le aziende produttrici di armi. D’altro canto l’esercito turco non è certo da sottovalutare: è tra i primi 10 al mondo, molto vicino a quello italiano che lo precede di poco, e meglio armato di quello tedesco.

In questo quadro dal sapore vagamente melenso, si è capito che Erdogan ci teneva all’udienza con papa Francesco, a margine della visita di Stato in Italia. Il punto di convergenza è stata ovviamente la famosa questione di Gerusalemme, in pratica dichiarata unilateralmente capitale di Israele dal presidente statunitense Trump quando ha deciso di spostare l’ambasciata a stelle e strisce da Tel Aviv a Gerusalemme, appunto, con lo scontato applauso del governo israeliano. Meno entusiasti a vari livelli i palestinesi in specie, e qualche centinaio di milioni di musulmani e di arabi (non solo musulmani) in genere. Ed altri, Ue compresa. Il papa aveva giustamente preso le distanze dall’iniziativa unilaterale Usa, sostenendo lo status di «Gerusalemme come una città unica, sacra per gli ebrei, i cristiani e i musulmani». Cosa si siano detti Erdogan e il papa nei 50 minuti di colloquio non si sa di preciso, se non quanto ha poi dichiarato la Sala Stampa vaticana. Certo, sono stati sollevati anche i problemi cruciali dei diritti umani, delle migrazioni dalla Siria, dei rapporti con l’Europa e soprattutto dei curdi, ma non ci è dato sapere in che termini. Ma è molto intrigante uno dei regali che il Papa ha offerto al presidente turco, un artistico medaglione che così ha spiegato papa Francesco consegnandolo: «Questo è l’angelo della pace che strangola il demone della guerra… È il simbolo di un mondo basato sulla pace e sulla giustizia».

 

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