Ercole si è fermato a Itri?

L’avventura intrapresa da una studiosa e da un gruppo di appassionati di storia e archeologia della città laziale.

Nessun dubbio sul fatto che presso gli antichi romani il più popolare e amato supereroe fosse Ercole (l’Eracle greco), le cui “fatiche” sovrumane (era un semidio, figlio di Zeus e di una mortale, Alcmena) ne avevano fatto il simbolo di chi, a prezzo di sforzi e di sacrifici, esce vincitore dalla lotta contro ingiustizie e malvagità. Generoso e benefico per aver compiuto imprese utili al genere umano, ma anche facile ad un’ira incontrollata, Ercole va errando tra Oriente e Occidente, e tra una “fatica” e l’altra fondando città come Ercolano. Innumerevoli i templi e sacelli a lui dedicati. Quale casa, anche modesta, non possedeva una sua immagine da onorare insieme alle divinità familiari? Nume prediletto dal mondo pastorale dell’Italia centro-meridionale, il nerboruto personaggio con gli attributi della clava e della pelle leonina era venerato soprattutto come patrono della transumanza delle greggi, in memoria del lungo viaggio da lui intrapreso attraverso la Penisola per portare sani e salvi al re di Tirinto, Euristeo, i buoi sottratti al gigante Gerione (decima “fatica”).

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La presenza di Ercole aleggia nel nuovo libro dell’archeologa Marisa de’ Spagnolis: Itri. Il santuario romano in località San Cristoforo (AliRibelli Edizioni). Ma cosa ha a che fare il semidio con la bella cittadina laziale situata tra le falde occidentali dei monti Aurunci lungo il percorso della via Appia tra Fondi e Formia?

Intanto, secondo una dotta leggenda volta ad assicurare prestigio alle origini di Itri (famosa tra l’altro per aver dato i natali, nel 1771, a quel Michele Pezza meglio noto come Fra’ Diavolo, brigante e poi colonnello dell’esercito borbonico), più che da iter (via, cammino), il suo nome deriverebbe da Idra, l’Idra di Lerna, il gigantesco mostro con nove teste che devastava l’Argolide, ucciso dal nostro supereroe nella sua seconda “fatica”.

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Leggende a parte, tornando al libro della de’ Spagnolis, il racconto dell’autrice ci trasporta appena fuori il centro urbano, a mezza costa del Monte Grande della catena degli Aurunci, in una posizione da cui si gode un panorama di straordinaria bellezza: oltre a Itri con il suo centro medievale risorto dai bombardamenti dell’ultima guerra, la città di Gaeta protesa sul mare e sullo sfondo l’isola d’Ischia. Siamo in località San Cristoforo, dal nome di una chiesetta edificata nel XIV secolo. A soli 250 metri di distanza da essa e ad una quota leggermente superiore, nel 2010 veniva individuato il sito di un santuario pagano che si sta rivelando di eccezionale importanza, sia per la posizione topografica e sia per i dati cronologici forniti, in grado di aprire una nuova pagina di storia non solo per il comune di Itri, ma per tutto il Lazio meridionale.

Le prime esplorazioni condotte negli anni 2010-2011 hanno sottratto a sterpaglie, rovi e arbusti due lunghi muri a grossi blocchi di calcare in opera poligonale di sostegno ad una vasta area rettangolare terrazzata a quote differenti, insieme ad altri setti murari e a due cisterne ancora funzionanti: strutture, queste, che facevano ipotizzare un porticato e i locali di servizio di un probabile santuario pagano. Una scalinata dotata di iscrizione ha fornito i nomi di due personaggi della gens Allia, Marco e Lucio, che in qualità di amministratori del denaro di questo luogo di culto avevano curato la costruzione del pavimento, delle colonne e dei gradini. Ricchissimo il materiale archeologico rinvenuto: per lo più resti ceramici e monete di varie epoche. Interrotti per mancanza di nuovi finanziamenti e ripresi nel 2016, quando alcuni itrani appassionati di archeologia, storia ed arte hanno dato vita all’Associazione archeologica Ytri, gli scavi sono proseguiti fino al 2018, riportando alla luce nuovi frammenti architettonici e scultorei, e nuove iscrizioni relative ad ulteriori lavori condotti nel sito.

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Sempre più chiaramente si andava delineando la presenza del supposto santuario e di vari corpi di fabbrica, disposti scenograficamente su tre terrazze artificiali a quote diverse collegate da scalee, secondo un modello di matrice ellenistica mirante ad accrescere monumentalità e sacralità di un luogo di culto posto a dominio di due importanti tracciati viari, la via Appia e quella oggi chiamata Civita Farnese, già antica via di transumanza, del commercio del sale e di collegamento tra l’Appia e la via Latina.

 

Il libro è stato pubblicato mentre ancora resta da scoprire, a conclusione di questa avventura archeologica, il santuario vero e proprio. Quanto alla divinità in esso venerata, sarà da identificare col nostro supereroe, considerato anche il confronto con un complesso simile: il santuario di Ercole Curino, vicino a Sulmona? Il commento dell’autrice: «L’ipotesi che si tratti di Ercole, divinità che mantenne in tutto il mondo italico e occidentale la funzione di nume tutelare dei mercanti e soprattutto delle greggi e dei pastori, dio del sale e della transumanza, garante e intermediario di scambi commerciali, appare oggi la più probabile, in attesa che nuovi dati forniti dalla auspicabile prosecuzione degli scavi, insieme ad altri indicatori archeologici, possa confermarlo. La presenza della chiesetta, poco più a valle, dedicata a san Cristoforo, detto l’Ercole cristiano, sembrerebbe avvalorare tale ipotesi. […] L’attribuzione ad Ercole non esclude che il santuario possa aver avuto un carattere anche poliedrico. La devozione per il semidio si accompagna, a volte, a quella per altre divinità».

Non per niente l’ultima iscrizione rinvenuta, risalente al III secolo a. C., fa riferimento alla dea Fortuna, divinità spesso associata ad Ercole in quanto ritenuto responsabile di prosperità e ricchezza.

In attesa di completare la conoscenza di questa importante testimonianza dell’iniziale processo di romanizzazione del territorio, vanno apprezzati l’impegno e la dedizione dei soci della Associazione archeologica Ytri presieduta da Rosa Corretti in sinergia con la Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio per le province di Frosinone, Latina e Rieti, sotto la guida e la supervisione dell’archeologa Marisa de’ Spagnolis: esempio vincente di collaborazione tra privati e istituzioni.

 

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