Eni e Rosneft nel Mediterraneo

Gioie e dolori in campo energetico per la compagnia italiana

Anche se i tecnici di altre compagnie non erano riuscite a trovarlo, quelli di Saipem avevano continuato a credere nell’esistenza di un giacimento al largo dell’Egitto: trivellando per 4 km in un fondo marino di un km e mezzo, erano arrivati a Zohr, uno dei più grandi giacimenti di gas naturale; felice l’Eni, proprietaria della concessione e dell’investimento e ancora più l’Egitto, particolarmente in questi anni di grande crescita demografica, posto in forzata austerità a causa del pesante debito estero. Un successo purtroppo offuscato dal caso Regeni, la cui non soluzione ha anche portato a chiedere l’interruzione delle collaborazioni industriali tra i due Paesi.

Ma una opportuna politica adottata da Eni, anche in occasioni precedenti, è quella di monetizzare subito, senza perderne il controllo, il valore di quote delle concessioni di successo. Dopo aver venduto il 10% di Zohr alla BP, ha venduto il 30% di Zohr a Rosneft, la società petrolifera di Stato russa molto attiva nel Paese e a livello internazionale: la società che ha siglato con la multinazionale ExxonMobil, il cui amministratore delegato è stato scelto da Trump quale segretario di Stato, un gigantesco contratto per lo sviluppo pluriennale degli idrocarburi in Siberia.

Negli ultimi anni anche l’Eni è stata penalizzata dalla discesa dei prezzi del petrolio; adesso, aprendo alla Rosneft il mercato del gas naturale nel Mediterraneo, recupera parte dei suoi investimenti e può, senza indebitarsi troppo, impegnarsi in nuovi progetti. A fronte di questo successo nel gas naturale, l’Eni ha però dovuto subire un grave smacco: nella raffineria di Sannazzaro de’ Burgondi, in Lombardia, è andato a fuoco il costosissimo prototipo del suo impianto ad alta pressione Est, concepito nei laboratori di San Donato Milanese per convertire in distillati leggeri delle frazioni più pesanti di petrolio.

Per fortuna l’esplosione e il conseguente incendio non hanno avuto conseguenze su lavoratori e ambiente, ma anche se non sono ancora note le cause, si tratta comunque di un vero disastro mediatico perché quell’impianto era anche lo strumento utilizzato per vendere al mondo la sua tecnologia

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