Emirati Arabi Uniti: che ne sarà dopo il petrolio?

La domanda sul “dopo petrolio” sta diventando sempre più pressante. E riguarda naturalmente non solo i consumatori ma anche i produttori, in particolare le petromonarchie mediorientali che sul petrolio sussistono. Anche gli Emirati Arabi Uniti stanno cercando la loro identità futura al di là del petrolio.
Un uomo sventola la bandiera nazionale durante le celebrazioni per la 50a Giornata Nazionale degli Emirati Arabi Uniti, all'Expo 2020 Dubai. Foto AP/Kamran Jebreili

Fino a qualche decennio fa ci si chiedeva quando l’oro nero si sarebbe esaurito, adesso la domanda si fa più stringente: quando il mondo smetterà di bruciare idrocarburi, vista la spirale di sempre più evidenti danni ambientali e planetari che la produzione di energia tramite combustibili fossili ha innescato?

Non è quindi un caso che i Paesi mediorientali produttori di greggio stiano affannosamente cercando alternative economiche che consentano loro di sopravvivere quando l’estrazione di petrolio si ridurrà drasticamente. Ne è un esempio l’ormai famosa “Saudi Vision 2030” dell’erede al trono saudita, Mohammad bin Salman. Dove l’anno 2030 è indicativo di una evidente urgenza.

Un altro Paese, affacciato sul Golfo Persico, che ci sta pensando sono gli Emirati Arabi Uniti (Eau). I 7 emirati che lo compongono coprono complessivamente una superficie di 83 mila kmq (poco più dell’Italia centrale compresi Abruzzo e Molise) di sabbia, qualche roccia, e due oasi. Acqua ben poca, sia quella che scorre che quella che piove. La città più grande è Dubai (3,2 milioni di abitanti), capitale dell’omologo emirato. La seconda è Abu Dhabi (1,5 milioni), capitale dell’emirato principale e degli stessi Eau.

La popolazione complessiva degli Eau è oggi di 9,9 milioni di persone, di cui quasi il 90% non sono cittadini degli Emirati: il tasso migratorio del 27,71% è il più alto al mondo. Molti lavoratori sono quindi stranieri, di solito ben pagati ma senza tutele di alcun genere. Gli immigrati provengono soprattutto (53%) da India, Pakistan, Bangladesh, Nepal e Sri Lanka. Il resto è prevalentemente costituito da filippini, iraniani, egiziani, siriani, cinesi e giordani.

Il territorio è arido, rovente per molti mesi all’anno e praticamente privo di risorse, se non il petrolio. Torna la domanda iniziale: fino a quando? Fino a due anni fa, inoltre, non c’era neppure il gas per produrre l’energia necessaria a mantenere i complessi e lussuosi apparati urbani, da poco è stato invece scoperto un giacimento che potrebbe garantire l’autosufficenza sotto questo profilo. Ma il governo sta anche realizzando una centrale nucleare da 5,6 MW. Questa politica energetica alternativa lascia intravedere l’obiettivo: immaginare gli Eau del futuro, dove anche senza l’economia generata dal petrolio il Paese vorrebbe attirare milioni di turisti, consumatori, uomini e imprese d’affari. E com’è noto gli sceicchi emiratini sanno pensare le cose in grande e senza troppi intoppi burocratici o etici. Ma un progetto così va avviato adesso, finchè abbondano i petrodollari.

Una realtà economica alternativa presente da vari anni è il Dsf (Dubai shopping festival), presentato come un “evento perfetto (dove) fantastiche offerte per lo shopping si inseriscono in una cornice grandiosa di eventi pensati per tutta la famiglia: dai concerti live con superstar internazionali, fuochi d’artificio, lotterie”. Sul sito visitdubai.com il linguaggio è esplicito e racconta a proposito del Dsf di “momenti imperdibili, centri commerciali da urlo”, e (soprattutto) “acquisti esentasse”. Un inno al consumismo rivolto ad un target con elevate possibilità finaziarie. Una sorta di moderno paese dei balocchi per chi se lo può permettere. È questo il futuro degli Eau?

Con l’Expo Dubai 2020 (affluenza stimata in 25 milioni di persone) si sono fatte le prove generali di un’altra attività da affiancare al Dsf. Il nuovo progetto avviato in questi mesi è un ambizioso programma di organizzazione di eventi e congressi mondiali.

L’offerta presentata nei mesi scorsi ha già ottenuto la prenotazione di 99 eventi internazionali, con ospitalità alberghiera per 77 mila partecipanti (330 mila notti in albergo) nei prossimi 2 anni. Ma l’offerta potrebbe più che raddoppiare come ospitalità e infrastrutture già disponibili o in avviato allestimento. È solo l’inizio, secondo gli organizzatori: così ha recentemente spiegato la nuova opportunità offerta da Dubai Festivals and Retail Establishment il suo Ad, Ahmed al Khaja: «Siamo stati ispirati dalla visione di rendere Dubai la città del futuro e il miglior posto al mondo dove vivere, lavorare e anche investire. Gli eventi legati agli affari internazionali rimarrano al primo posto mettendo in connessione la tradizione di Expo 2020 e il ruolo internazionale attuale di Dubai». Tra le conventions “prenotate” molte riguardano l’ambito medico: un Congresso mondiale di terapia fisica, uno di otorinolaringoiatria, la riunione dell’associazione ortopedica Asia-Pacifico e quella degli endocrinologi. Senza contare importanti congressi di aziende farmaceutiche e tecnologiche.

È una scommessa sul futuro che gli Eau stanno facendo, ed è una sfida enorme per un Paese che solo 60 anni fa, prima della scoperta del petrolio, aveva meno di 150 mila abitanti.

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