Emblema di vita e speranza

L'albero, presenza silenziosa e simbolica tutta da riscoprire. Da sempre accanto all'uomo.
Viale alberato

La primavera è tempo di risurrezione. I corpi rinascono dopo il torpore invernale. Si risvegliano, sussultano di vita. Il sangue torna a germogliare nelle vene e le membra profumano della freschezza che permea l’aria, che traspira dall’asfalto delle strade. Dopo la maestosa notte dell’inverno la terra riprende vigore e inizia a buttar fuori nuove erbe. E gli alberi, protagonisti assoluti, sorprendono con gemme fiorite. «A primavera, fra mille richiami, ancora vivi saremo di nuovo / e innalzerò le mie dita di rami verso quel cielo così misterioso», cantava Guccini, identificandosi con un albero.
Gli alberi, dalla notte dei tempi, hanno avuto un posto di particolare vicinanza all’uomo. Come sostegno alla sua vita, profondendo nell’aria ossigeno, fornendo ombra di freschezza, riparo dalle calure, dai morsi aridi del deserto, nutrendo con la piacevole normalità dei frutti nostrani, sorprendendo coi colori passionali di quelli esotici.

Anche da cadavere, quando si fa legno, l’albero continua a stare accanto all’uomo: lo riscalda infiammandosi nei focolari e nelle stufe; lo aiuta, se trasformato in utensili adatti per la pace e anche per la guerra; lo ospita nelle case e nei templi con esso realizzati. La vicinanza dell’albero all’uomo, nel corso della storia, ha assunto anche una potente valenza culturale e religiosa. L’albero che s’estende nel regno del sottosuolo con le radici, che vive al nostro livello col tronco e i rami più bassi, che si slancia verso il cielo con i rami più alti e la cima, è stato identificato da sempre come simbolo di completezza della vita. E il suo tronco, che come colonna vertebrale s’innalza a perforare il mistero dei cieli, è diventato simbolo di trascendenza, immagine spirituale dell’unione tra la terra e il cielo, tra il visibile e l’invisibile. Popoli antichi che praticavano religioni pagane o naturali, elevavano sulle alture tronchi sfrondati e li adoravano come pali sacri; il culto degli alberi s’esprimeva in una varietà di riti legati sia alla virilità maschile sia alla fecondità femminile.

Nell’antica Grecia diversi alberi erano consacrati agli dei: l’olivo ad Atena, il cedro ad Artemide, il pino ad Attis. La Bibbia pone due alberi al centro del giardino dell’Eden: l’albero della conoscenza del bene e del male, e l’albero della vita. Il simbolismo dell’albero è presente anche nella religione induista, dove l’universo è rappresentato come un albero rovesciato, con le radici in cielo e la chioma in terra. Tale simbolismo verrà elaborato dalla quabbalah ebraica e, attraverso di essa, raggiungerà altre correnti mistiche. Ai piedi d’un albero sacro Siddharta sedette in lunga meditazione fino a ricevere l’illuminazione, diventando il Buddha. E infine nel cristianesimo: sul legno d’un albero venne crocifisso il Cristo, per cui nel Medioevo avrà ampia diffusione il motivo iconografico dell’albero della croce.

La simbologia dell’albero è legata soprattutto a due motivi, la vita e la speranza, dando origine a varie rappresentazioni artistiche, come il celebre albero della vita dipinto da Klimt, o il delizioso albero d’oro di Lucignano, di fronte al quale gl’innamorati si scambiano promesse d’amore.

Infine l’albero è simbolo di speranza. Una volta nelle campagne chi poteva piantava un albero alla nascita dei figli, per vederlo crescere accanto a loro e farlo poi diventare mobile, guardaroba, nella dote di nozze della figlia. Piantare alberi è un gesto di speranza nel futuro: «Pianta alberi, che gioveranno in un altro tempo», esortava in latino Catone. Non tutti possono o vogliono piantare realmente alberi. Ma anche senza usare la vanga, pianta un albero chiunque compia un gesto non determinato dall’egoismo dell’utilità immediata, ma con lo sguardo rivolto al bene dei più giovani, delle generazioni che seguono. Di questi gesti di fiducia nel futuro c’è, oggi, più che mai bisogno.

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