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Cultura > Insolita Bibbia

Elia e il saltello di Chaplin

di Michele Genisio

- Fonte: Città Nuova

Forte e determinato, imparerà a cercare Dio nel “suono del silenzio”, per poi tornare a guidare il piccolo drappello d’Israele incamminarsi sulla strada polverosa, un po’ come Chaplin nella chiusura del film Il Circo

Elia
Augustins – Le Prophète Élie by Marc Arcis

19 settembre 1981, New York. Il Great Lawn di Central Park è invaso da 500 mila persone. Sono lì per il concerto di Simon & Garfunkel. Un’ovazione accoglie gli arpeggi della chitarra che segnano l’inizio d’una delle canzoni più celebri di Paul Simon, Sound of Silence, “suono del silenzio”. Un’ovazione esplode per la strofa Ten thousand people maybe more, “diecimila persone e forse più”, che pare ora riferita a quella folla immensa, partecipe, commossa. Un’altra ovazione sottolinea la strofa The words of the prophets are written on subway walls and tenement halls, “le parole dei profeti suono scritte sui muri della metropolitana e sugli ingressi dei condomini”. Perché, ogni volta che rivedo su You Tube la registrazione di quella memorabile esecuzione mi viene la pelle d’oca… e penso a Elia, il biblico profeta Elia? Forse per quell’assonanza con il titolo della canzone, il suono del silenzio? Penso di sì. I silenzi hanno i loro suoni. Percepirli è l’unico modo per comunicare. Elia ne ha fatto l’esperienza.

Per spiegare cosa gli è successo, bisogna spendere due parole su di lui. La Bibbia lo descrive «come un fuoco», un tipo la cui parola «bruciava come fiaccola». Al suo tempo in Israele quasi tutti avevano voltato le spalle a YHWH per adorare Baal, il dio straniero imposto dalle fenicia Gezabele, moglie del re Acab. Elia era rimasto il solo a non cedere al nuovo andazzo collettivo. Non era però il tipo da tirarsi indietro. Di natura non era un difensore, ma un’attaccante. Così aveva chiesto a Acab di convocare 450 profeti di Baal sul monte Carmelo. Li avrebbe sfidati. Si sarebbero preparate due pire per il sacrificio. I profeti di Baal da una parte, ed Elia dall’altra, avrebbero pregato il proprio Dio. Quello che avrebbe accesso la pira senza alcun intervento umano, si sarebbe dimostrato il Dio “vero”. La gente, saputo dell’avvenimento, accorre a frotte. Qualcuno azzarda scommesse. Si preparano le pire. Elia si rivolge al pubblico con veemenza: «Smettete di tenere il piede in due scarpe! Se il Signore è Dio, seguitelo! Se invece lo è Baal, seguite lui!». Tutti ammutoliscono. La tensione è alle stelle. Si parte. Comincia Baal. Un flop. Tocca a YHWH. Che vince, anzi stravince. Elia non aveva mai avuto dubbi. Ma a quel punto, esagera. Incita la folla: «Afferrate i profeti di Baal, non ne scappi neppure uno!». Al torrente Kison li sgozza tutti 450. Era fatto così, Elia. Fuoco nelle vene. Questo racconto è sicuramente esagerato, e a noi fa rabbrividire. Ma erano altri tempi, altri modi di raccontare, altre sensibilità. La nuova prodezza di Elia non va giù alla regina Gezabele. Che lo vuole morto. Lo fa ricercare dovunque. Elia deve fuggire. S’inoltra nel deserto. L’ha già fatto altre volte. Dopo un giorno di cammino però non ne può più. È stanco, sfiduciato. Ha combattuto e vinto tante battaglie, ma ora è svuotato. Non sente più alcun rapporto con l’Altissimo. È sempre in fuga, sempre da solo, sempre in contrasto con tutti, in nome di quel Dio che ora è assente, nemico.

Che vita è questa? Non ne può più. Possibile che Dio non lo capisca? Desidera morire. E nel deserto, mentre sprofonda nel sonno, le sue labbra innescano una cantilena: «Fammi morire, per favore, mi hai esaurito». Dio non considera neppure quella preghiera. La ignora come il capriccio d’un bambino viziato. Con una certa durezza lo risveglia: «Hai fame. Mangia». Che c’entra la fame con quello che cercavo di dirti? avrà pensato Elia. Ma Dio aveva ragione. Nei momenti più bui chi ci vuole bene ci dice la verità. Anche se al momento brucia, offende. Un angelo porta a Elia dei pani. Ristorato, pensa: va bene, se Dio non mi degna d’uno sguardo, vado a cercarlo io. Dove? Là dove ha parlato a nostri Padri. Sull’Oreb. Un viaggio che stima di quaranta giorni, dal nord al sud del Paese. Si mette in cammino. Non è più una fuga, la sua, ma un pellegrinaggio alle sorgenti della fede in JHWH. Giunto all’Oreb, si sistema in una grotta. Attende. Dopo tanti momenti avventurosi sente il bisogno di pace. Di esercizi spirituali. «Qui Dio mi parlerà, ne sono certo», dice tra sé e sé. Ma come? Nella sua grotta (o dentro di sé?) Elia è sommerso da immagini. Venti impetuosi, forti terremoti, un fuoco ardente. Di Dio però neppure l’ombra. Passa il tempo. Poi ode una voce che non riuscirà mai a definire. Lì c’è Dio. Qol demamah daqqah, dirà poi nella sua lingua. La voce d’un silenzio svuotato, la voce d’un silenzio sottile. Il sussurro d’una brezza leggera, tradurrà qualcuno. Il suono del silenzio, canteranno Simon & Garfunkel. Qualcosa di indescrivibile. Elia si inchina a quella presenza invisibile, misteriosa. La quale, senza alcun garbo – come di solito agisce Dio quando è imbarazzato di fronte alla grandezza umana – gli dice: «Che ci fai qui, Elia?». A Elia non viene neppure in mente di ribattere: «Ma come fai a non saperlo? Sono venuto qui per te». Il miracolo è già avvenuto. Elia tace. E dentro di sé sente di nuovo la gioia. «Va’ – gli comanda Dio -, ci sono 7 mila uomini in Israele, nascosti e in silenzio, che non mi hanno abbandonato. Cercali». È il “piccolo resto” da cui tutto ricomincerà. Succederà sempre così nella storia con Dio, ogni volta si ricomincerà da uno zoccolo duro che non s’è arreso. Ma che è in attesa d’una guida. Elia, senza battere ciglio, va. Me lo immagino incamminarsi sulla strada polverosa, un po’ come Chaplin nella chiusura del film Il Circo. Come Chaplin, me lo vedo di spalle. Fare qualche passo malvolentieri, poi, con le gambe, un saltello. Per scrollarsi di dosso la mestizia. E camminare. In quel saltello c’è tutto l’abbandono in Dio. Tutta la poesia del mondo. Altri 40 giorni di cammino per tornare indietro. E di nuovo darsi da fare.

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