Elezioni, liste tra seggi blindati e rischio astensione

Una prima panoramica dei candidati delle liste elettorali decise dai partiti verso le elezioni politiche del 25 settembre. Una sfida segnata dai sondaggi a favore del centro destra assieme al timore della crescita dell’astensionismo
eleziioni Foto Cecilia Fabiano /LaPresse

A quasi un mese dalle elezioni politiche i partiti hanno dovuto, in una corsa contro il tempo, chiudere l’elenco dei candidati delle liste con ripensamenti e polemiche inevitabili sul filo di lana. Il sistema elettorale del Rosatellum permette di distinguere tra collegi uninominali blindati, contendibili e di semplice testimonianza.

A fare da traino resta sempre il voto sull’uninominale che si porta appresso la scelta dei partiti collegati con il candidato che potrà vincere se conquista un voto più degli altri concorrenti. Per poter votare il simbolo del proprio partito è inevitabile dare sostegno a chi è stato scelto per l’uninominale, a prescindere dalla propria inclinazione o simpatia.

Sono queste le regole ferree ed essenziali per capire come funziona il meccanismo del voto.

Secondo i sondaggi il centro destra unito parte con un vantaggio di 20 punti sulla coalizione di centro sinistra dove non esiste la possibilità di una reale competizione interna tra il Pd e le altre formazioni minori che raggiungeranno con difficoltà (forse i rosso verdi, difficile per +Europa, improbabile per Di Maio-Tabacci) la soglia del 3% dei voti necessaria per far eleggere anche i candidati della quota proporzionale.

Nel fronte opposto la partita sembra vinta da Fratelli d’Italia con Giorgia Meloni che si muove come leader della coalizione che mette assieme anche Lega, Forza Italia e una lista composita di moderati di centro.

È quindi ovvio che l’attenzione maggiore sia rivolta alla formazione politica che sembra destinata a prendere le redini del governo ad ottobre per cimentarsi con le legge di bilancio, affrontare le scadenze del cronoprogramma del Pnrr e gestire i complessi rapporti internazionali legati allo scenario sempre più preoccupante della guerra in Ucraina.

L’autunno si annuncia molto difficile perché segnato dal problema dell’aumento dei prezzi dovuti al rincaro del costo dell’energia e all’effetto dei cambiamenti climatici.

Con la fine anticipata del governo di larghe intese, destinato comunque a terminare a marzo 2023, ci si chiede come sarà possibile garantire la credibilità dell’Italia che finora ha fatto leva sulla figura di Mario Draghi che ha avuto come opposizione parlamentare proprio il partito della Meloni, oltre a quella di un insieme di gruppi fuoriuscita dai 5 Stelle e quella singolare di Fratoianni, unico deputato di Sinistra italiana.

Come già detto, FdI ha assicurato, dopo l’invasione russa dell’Ucraina, la continuità sulla linea di politica estera del nostro Paese nel solco dell’atlantismo espresso con decisione da Draghi. La candidatura blindata dell’ex ambasciatore ed ex ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant’Agata costituisce in tal senso una garanzia, come può riscontrarsi dai suoi interventi riportati dalla fondazione Fare Futuro che fa riferimento ad Adolfo D’Urso, attualmente presidente del Copasir.

Sul programma economico è invece interessante capire l’impatto che potrà avere il peso della candidatura di Giulio Tremonti, ex ministro dell’Economia con Berlusconi, che ha maturato in questi anni un giudizio critico verso gli effetti della globalizzazione e del mercatismo, inteso come prevalenza dell’economia sulla politica, con dotti e interessanti interventi in materia. Tremonti non è tuttavia un outsider dell’Italia che conta perché è da tempo presidente dell’Aspen Institut Italia, un think tank che raduna buona parte della classe dirigente italiana di differente collocazione politica.

Nelle liste della Meloni compaiono nomi che appartengono alla storia del Movimento Sociale di Giorgio Almirante (significativo il ritorno di Augello esponente della destra sociale),  ma anche espressioni della società civile che vengono da altri percorsi. Un posto è ad esempio assicurato a Lorenzo Cesa dell’Udc ma c’è anche l’ex portavoce della comunità ebraica romana e quella del segretario della Fondazione De Gasperi.

Berlusconi conta molto sull’effetto del suo nome per mantenere quel consenso elettorale, stimato in un significativo 10%, che gli permetterà di pesare nel prossimo esecutivo. Il consolidamento del ruolo di Antonio Tajani, un moderato ex presidente del Parlamento europeo, assicura una gestione del partito che mantiene fasce di elettorato fedele in molti territori. Significativa la candidatura della giornalista televisiva dei canali Mediaset Rita Dalla Chiesa, figlia del generale prefetto di Palermo trucidato dalla mafia.

Salvini può vantare ormai una presenza come partito nazionale in grado di eleggere amministratori locali anche nel Sud Italia ma è certo che è nel Nord che può esercitare il massimo del suo peso nei collegi uninominali.  La Lega riesce ad intercettare il mondo delle piccole e medie imprese  – mentre Giancarlo Giorgetti ha potuto esercitare un ruolo di primo piano da ministro dello sviluppo economico nel governo Draghi -, pur mantenendo nelle liste blindate esponenti del pensiero eterodosso in economia come Claudio Borghi critico verso l’Euro La capacità attrattiva del consenso della Lega si misura con l’inclusione nelle sue liste del campione di pallavolo Luigi Mastrangelo e dell’editore di Libero, Antonio Angelucci, imprenditore della sanità privata molto radicato nella Capitale.

La prevedibile proposta della futura presidenza del consiglio sarà decisa dalla conta dei voti sul proporzionale tra Meloni e Salvini. È difficile fare una distinzione tra le due proposte politiche perché su alcune questioni importanti non si distinguono tra loro. Resta centrale e condivisa una visione di forte difesa contro l’immigrazione definita clandestina con la proposta del blocco navale e l’apertura di hot spot sul territorio extranazionale per l’esame delle richieste d’asilo in polemica con la politica definita immigrazionista del centrosinistra accusato di non far valere gli interessi italiani all’interno della Ue. Il messaggio si associa ad una spinta molto forte a difesa dei valori definiti tradizionali e sintetizzati dal logo scelto da Salvini: “Credo”. Il capo della Lega, in particolare, si presenta come l’alfiere di questioni come il contrasto all’aborto, all’eutanasia, alla propaganda della fluidità di gender a difesa della famiglia naturale e contro la legalizzazione di ogni tipo di droga.

Ne ha dato dimostrazione nel dibattito promosso il 23 agosto nel meeting di Rimini dal gruppo interparlametare sulla sussidiarietà che ha radunato in questa legislatura circa 200 tra deputati e senatori coordinati dall’ex ministro Maurizio Lupi, esponente di centro destra. Partendo dall’invito ad ascoltare la società civile, Salvini ha fatto riferimento alla vitalità dei centri di aiuto alla vita che in questi anni hanno saputo interpretare la finalità preventiva dell’aborto contenuto nella legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza. L’uditorio molto sensibile a questi temi ha molto apprezzato, ma il consenso registrabile dal volume degli applausi è andato alla Meloni. Il capo del Pd Enrico Letta si è tenuto alla larga da questi argomenti, ma quando ha proposto di allungare l’obbligo scolastico toccato ha ricevuto dei fischi  durante la carrellata di interventi moderata dal direttore de Il Corriere della Sera Luciano Fontana che ha visto la partecipazione anche dello stesso Lupi assieme a Di Maio (centristi con il Pd), Rosato (IV-Azione) e Tajani.

Al dibattito non ha partecipato, perché non invitato il leader del M5S, nonché ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte che, dopo tante fratture interne al partito di maggioranza relativa all’inizio della legislatura, affronta senza alcuna coalizione la campagna elettorale che si giocherà tutta sulla capacità di resistere sul piano delle liste proporzionali. Qui Conte stesso è presente come capolista in diverse regioni, assieme ai candidati selezionati con il criterio di non superare i due mandati e l’inclusione di nomi della società civile con la prevalenza di magistrati antimafia come l’ex procuratore nazionale antimafia  Cafiero De Raho e l’ex procuratore generale Scarpinato. È da valutare ad ogni modo l’incidenza che potrà avere in alcuni collegi uninominali il confronto diretto tra alcuni candidati come ad esempio in quello di Napoli Fuorigrotta dove Di Maio concorre per il centro sinistra e, per i 5 Stelle, l’ex ministro dell’Ambiente ed ex generale dei carabinieri Sergio Costa, mente Carfagna rappresenta Azione e Mariarosaria Rossi, del partito “Italia al centro”, il centro destra.

I numeri dicono che solo una coalizione larga, dall’ex Leu ai 5 Stelle, avrebbe potuto contendere la vittoria del centro destra a partire dai collegi uninominali (147 alla Camera e 77 al Senato), ma in politica, come dicono alcuni, avviene come con l’acqua e l’olio che non possono amalgamarsi tra loro. E così anche un’alleanza tra Letta e Calenda si è infranta dopo pochi giorni, con i radicali di +Europa rimasti  con il Pd che assicura almeno tre seggi a Della Vedova, Bonino e Magi.

Chi come Italia Viva di Renzi rischiava di restare fuori dai giochi ha ora la possibilità di misurarsi assieme ad Azione di Calenda nel tentativo di ritagliarsi un posto nel nuovo parlamento per dare voce all’area liberal riformista che vuole intestarsi la continuità della cosiddetta agenda Draghi. Oltre ai nomi delle ex ministre di FI Carfagna e Gelmini, ci sono esponenti del Pd che, non ricandidati da Letta, si sono spostati verso Calenda e Renzi come ad esempio i fratelli Pittella campioni di preferenza in Lucania.

L’alleanza tra Verdi e Sinistra italiana ha mantenuto la determinazione a cercare realisticamente un accordo con il Pd che riserva alcuni posti ritenuti sicuri ad esponenti della società civile noti al grande pubblico, come Ilaria Cucchi e il sindacalista Aboubakar Soumahoro. Fratoianni concorre come capolista al proporzionale ed entrerà quindi solo in caso di superamento del 3% del simbolo rossoverde.

Nella composizione delle liste Letta ha dovuto fare i conti con la varietà delle componenti che compongono il partito democratico cercando di limitare la presenza di esponenti ex renziani ancora legati all’ex segretario ed ex presidente del Consiglio. I numeri dei posti sicuri sono molto ridotti e comunque è stato garantito un seggio anche a Di Maio e Tabacci, oltre che a +Europa e all’alleanza rossoverde.

Un caso a parte, evidentemente per il mondo di cui assicura la rappresentanza, è quello di Pierferdinando Casini, storico esponente ex democristiano alleato strettamente con Berlusconi prima di accordarsi con il Pd, al quale è riservato il seggio blindato di Bologna centro.

Il segretario dem ha voluto scegliere alcuni capolista del proporzionale tra i giovani trentenni andando incontro alle polemiche interne al partito ma per il resto i dem hanno abbondanza di classe politica che ambisce a rientrare in Parlamento. Dovendo comunque rappresentare più istanze Letta ha dato spazio all’economista Carlo Cottarelli ma anche all’ex segretaria generale della Cgil Susanna Camusso, finora responsabile esteri del sindacato schierato su posizioni antitetiche al Pd sul caso Ucraina. Un posto in lista anche per l’ex segretaria generale della Cisl Furlan per coprire la rappresentanza dei lavoratori che, ad ogni modo, secondo i sondaggi tendono a votare verso destra.

Tra le altre liste in corsa per raggiungere almeno la rappresentanza nella quota proporzionale c’è la formazione di Unione popolare che raduna Potere al Popolo e Rifondazione Comunista assieme a DeMa il partito fondato dall’ex magistrato ed ex sindaco di Napoli Luigi De Magistris che è stato scelto anche nel simbolo come capo della lista comune. Nelle ultime elezioni regionali in Calabria, la lista di De Magistris ha raggiunto quasi il 20% dei voti.

Anche Ital Exit, di Gianlugi Paragone che accoglie istanze No Vax, e Italia sovrana e popolare, insieme di più sigle,  hanno presentato due liste diverse che pretendono di arrivare in Parlamento come sorpresa di un più vasto movimento di protesta antisistema che si rifugia, al momento, nel non voto.

Nel 2018 l’astensione ha toccato il 27,1% degli aventi diritto, un record per le elezioni politiche.

Le ultime elezioni amministrative hanno registrato l’affluenza alle urne pari al 54,69 % dei potenziali elettori.

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