El Salvador: Bukele stravince per la seconda volta

Il presidente uscente di El Salvador, Nayib Bukele, ha stravinto le elezioni alle quali la Costituzione gli proibiva di presentarsi e dominerà il Parlamento. Molti salvadoregni apprezzano la tranquillità raggiunta grazie allo “stato di eccezione” e a 75 mila arresti in meno di due anni, nonostante le critiche dei difensori dei diritti umani
Presidente di El Salvador Nayib Bukele, Ansa EPA/Rodrigo Sura

Nella notte di domenica 4 febbraio, un calmo e sorridente Nayib Bukele ha rivolto alla moltitudine un discorso trionfalista: «Oggi, il Salvador ha travolto tutti i record di tutte le democrazie di tutta la storia del mondo», ha affermato quando lo scrutinio era fermo al 31%. «Non solo abbiamo conquistato la presidenza, ma abbiamo vinto all’Assemblea Legislativa con 58 deputati su 60, come minimo».

«Sarebbe la prima volta – ha proseguito dopo una studiata pausa – che in un Paese esiste un partito unico in un sistema pienamente democratico. Tutta l’opposizione messa insieme è stata polverizzata».

Nel corso della giornata, i risultati confermavano l’inappellabità della sua vittoria, con almeno l’83% dei suffragi, mentre dai seggi, dall’opposizione e dalla stampa nazionale ed estera si ripetevano le denunce di ritardi e irregolarità negli scrutini.

Dopo essersi inorgoglito del fatto che la stampa estera può lavorare liberamente «nel Paese più sicuro dell’emisfero occidentale», Bukele ha continuato il suo discorso con un aneddoto: «Un giornalista spagnolo mi ha domandato: Perché volete smantellare la democrazia? Ma di che democrazia ci stai parlando? Democrazia significa potere del popolo, e se i salvadoregni vogliono questo» (indicando la piazza) «perché un giornalista spagnolo viene a dirci che cosa devono fare?». L’episodio mette il dito nella piaga.

Questo giovane imprenditore pubblicitario di origini palestinesi, già sindaco della capitale, ha effettivamente trasformato il Salvador da uno dei luoghi più violenti e insicuri del pianeta a un Paese nel quale la gente può muoversi con tranquillità. Oggi presenta il tasso di omicidi più basso del continente, secondo solo al Canada.

L’ha fatto con un Piano di Controllo Territoriale e un decreto di “stato di eccezione”, in vigore da marzo 2022, che prevede la sospensione delle garanzie giuridiche e processuali, con arresti in massa (anche di minori, detenuti in prigioni ordinarie), senza spiegazioni o prove (riservate al processo). Secondo Amnesty International, questi arresti hanno riguardato più di 7 mila persone, poi riconosciute innocenti e liberate. Le prigioni sono al 236% della capienza, e 190 persone sono morte sotto custodia giudiziaria con sospetto di torture. Secondo alcuni analisti, la tranquillità di strade e quartieri sarebbe frutto di negoziati con i capi delle bande criminali, e non della vittoria nella guerra alle maras (bande organizzate che presidiavano il territorio).

La sicurezza è stata ad ogni modo il fiore all’occhiello del primo governo Bukele, e la gente l’ha premiata, anche se i prezzi sono saliti del 30% in tre anni (contro l’aumento del 20% del salario minimo), e lavora in nero ancora il 65% delle persone che hanno un impiego. La povertà è leggermente calata ma è cresciuta l’indigenza.

La popolazione apprezza di non essere più soggetta ad estorsioni, furti e aggressioni, a poter circolare liberamente anche in zone prima controllate dalle maras. Alla vigilia delle elezioni l’approvazione a Bukele era superiore al 90% in tutti i sondaggi e 8 salvadoregni su 10 dichiaravano di non percepire più un clima di timore generalizzato, secondo un recente rilevamento dell’Università Francisco Gavidia di San Salvador.

Paradossalmente, la neutralizzazione delle maras ha affossato un’economia sotterranea che dava lavoro a molte persone e (solo le estorsioni rappresentavano il 3% del Pil). Lo stesso presidente ha ammesso che l’impatto si sarebbe sentito nel breve termine.

La maggiore serenità ha peraltro generato un clima propizio per il commercio, il fiorire del turismo e i primi investimenti dall’estero, entrate che stanno aiutando alla riduzione del debito pubblico. Bukele punta ora a un massicio piano di infrastrutture, alcune già contestate per il loro impatto socioambientale. I reclami in termini di sanità, educazione e opportunità di lavoro sufficiente e regolare, però, cominciano a farsi sentire.

In quanto alla legittimità della vittoria elettorale, sono davvero tanti a considerarla inesistente secondo la legge. Una Corte Costituzionale designata dal Parlamento, dominato dal partito di governo Nuevas Ideas dopo la destituzione della precedente Corte, il primo giorno della scorsa legislatura ‒ procedimento ai limiti o direttamente fuori dalla legalità ‒ ha emesso una sentenza che reinterpretava l’impossibilità di rielezione diretta di Presidente e Vicepresidente, norma contenuta in almeno sei articoli della Costituzione.

Ma tant’è. Bukele governerà per altri 5 anni. L’opposizione debilitata dalla corruzione e divisa non ha forza e la cittadinanza sostiene il presidente. Non così i familiari delle persone arrestate, colpevoli o no.

Inutile dire che gli osservatori internazionali indipendenti, a cominciare dalle Nazioni Unite, avvertono e denunciano una concentrazione di potere sempre maggiore. Dal prossimo maggio, il numero di municipi passerà da 252 a 44. Per Bukele, si tratta di contenimento delle spese. Per i suoi detrattori, di una mossa evidente per favorire il controllo dei governi locali.

Con buona pace dei difensori dei diritti umani, lo stato di eccezione continua. Ma se prima chi denunciava un’estorsione alla Polizia rischiava grosso, ora basta una telefonata per mettere dietro le sbarre un presunto gangster. Interi quartieri hanno ripreso a vivere in libertà. Le denunce riguardano, in fondo, una minoranza della popolazione che non ha sufficiente voce per farsi sentire.

Se il governo dimostrerà capacità di gestione, risponderà efficacemente ai reclami della gente e l’economia porterà benefici nelle tasche della popolazione, sarà difficile che Nayib Bukele sia indotto a cambiare stile. Ma se davvero, come afferma, gli importa il bene comune più del potere personale, l’agognata normalità nella vita civile con un minimo di equità e sviluppo che tutti si augurano dovrebbero indurre il presidente ad riprendere la strada del rispetto dei diritti umani e dell’autonomia dei poteri dello Stato.

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