Educazione sessuale: assente

Scuola e genitori insufficienti, gli adolescenti studiano su Internet. Ma ci sono proposte virtuose

C’è un vuoto nella formazione affettiva e sessuale degli italiani, in tutta la filiera educativa. Non si fa educazione sessuale nelle scuole e, se si fa, è spesso insufficiente. Con educazione sessuale non si intende un semplice libretto di istruzioni sul funzionamento del proprio (e altrui) apparato riproduttore, ma un percorso di scoperta della propria affettività in relazione a sé e al prossimo, solida base di una società edificata sul rispetto di genere. In Europa non siamo i soli a mostrare carenze in questo ambito, anche se il panorama offre esperienze più evolute: in Svezia l’educazione sessuale è materia dal 1956, in Germania dal 1970 e in Francia dal 1973.

L’argomento, oltre a contribuire al corretto sviluppo affettivo dell’individuo, è necessario per la prevenzione di malattie sessualmente trasmissibili e di gravidanze inaspettate. In una società in cui le informazioni sono tante e il controllo capillare delle persone è impossibile, la probabilità che l’educazione sessuale non venga fatta in famiglia è molto elevata, ma le ragazze e i ragazzi hanno bisogno di conoscere e comprendere i cambiamenti del loro corpo, i bisogni e le emozioni propri e altrui. La risposta, come spesso accade, la dà Internet con i portali di pornografia.

Nel suo libro dal titolo Crescere uomini (Erickson, 2019), la giornalista Monica Lanfranco analizza il rapporto degli adolescenti (maschi) con la propria sessualità e il sesso opposto. Prende spunto da un questionario sottoposto a più di mille studenti, articolato in 6 semplici domande. Il concetto di “educazione fai-da-te” si può leggere attraverso diverse risposte. L’imbarazzo e l’incertezza che emergono non lasciano molto spazio all’interpretazione: i ragazzi imparano più da YouPorn che dalla scuola o dalla famiglia.

Ne viene fuori un’idea della sessualità mercificata, con una oggettivizzazione del proprio io e del corpo altrui. Le domande iniziali sono apparentemente semplici: cos’è per te la sessualità? Oppure: cosa significa per te essere virile? Ma per un adolescente, privo di conoscenze adeguate in merito, sono misteriose. Infatti la maggior parte delle risposte versano sull’aspetto fisico della questione: non c’è affettività, ma solo rapporti sessuali catalogati. Il corpo femminile è considerato oggetto da autori televisivi e pubblicitari, con i colleghi giornalisti che spesso utilizzano un vocabolario ottocentesco per descrivere femminicidi.

L’adolescente, privo di bussola educativa, si appropria delle categorie proposte dai media. L’educazione sessuale è oggetto di un dibattito ampio, abitato da posizioni nette e contrapposte su temi che invece sono complessi. Nel caos dei milioni di “secondo me” è difficile individuare posizioni chiare. Il dibattito fra gli adulti si gioca sempre sui grandi temi etici che girano intorno alla famiglia, alle adozioni per coppie omosessuali, all’utero in affitto, alla stepchild adoption. Nel fumo della battaglia, però, sparisce la lucidità con cui si dovrebbe guardare alle necessità di adolescenti e preadolescenti, lasciati in balìa di logiche commerciali e individualiste.

Sarebbe necessario un lavoro strutturato e delicato sul tema della sessualità all’interno prima di tutto delle famiglie. Poi anche negli istituti scolastici, che dovrebbero tornare ad essere presìdi di legalità e formazione civile, non contenitori fatiscenti di frustrazioni non accompagnate, o di battaglie ideologiche senza fine sulla pelle dei ragazzi.

In attesa di una svolta educativa, per fortuna, esistono realtà che propongono percorsi di confronto e sviluppo della materia. Regione e Servizio Sanitario regionale Emilia-Romagna hanno realizzato il progetto “W l’amore”. Attivo dal 2013, prevede interventi nelle scuole, con coinvolgimento di genitori e punti di ascolto dislocati sul territorio regionale. Un altro percorso virtuoso, ormai diffuso in 24 Paesi nel mondo, è Up2Me, che forma i ragazzi all’affettività e alla sessualità, mentre accompagna i genitori che lo desiderano in un approfondimento della genitorialità. Finalizzato alla facilitazione della maturazione personale dei giovanissimi, è promosso da diverse realtà afferenti al Movimento dei Focolari.

Genitori e figli

Genitori oggi

di Lucia e Massimo Massimino

Il corso di educazione all’affettività Up2Me. L’esperienza di una coppia

Siamo Lucia e Massimo, sposati da 17 anni e con tre figli, di cui due adolescenti o quasi. Sappiamo bene, per esperienza diretta, che l’età dell’adolescenza è un periodo complicato, in cui i figli mettono in discussione tutto. Oggi a questo si aggiunge la crescente complessità portata dalla rivoluzione digitale alla società, con gli smartphone, i social, i videogiochi e tutto il resto. Trovandoci in difficoltà e cercando di non fare errori troppo grossi, ci siamo resi conto di aver bisogno di aiuto nella nostra genitorialità.

Ragazzi partecipanti al progetto Up2me in Paraguay
Ragazzi partecipanti al progetto Up2me in Paraguay

Già qualche anno fa, la nostra figlia maggiore aveva partecipato a un’edizione del progetto Up2Me di educazione all’affettività e alla sessualità. Quest’anno, oltre a lei, sta partecipando anche il secondo figlio. Il progetto prevede una serie di incontri anche per i genitori: nell’edizione precedente non ne sentivamo la necessità, convinti di non avere bisogno di nessun aiuto nell’educazione dei figli. Oggi invece il bisogno lo sentiamo, eccome!

Prima del matrimonio abbiamo seguito diversi corsi per arrivare preparati al grande passo. Anche nei primi anni insieme abbiamo partecipato a seminari di formazione che ci hanno aiutato ad arrivare fino a qui. Adesso sentiamo che è proprio giunto il momento di un corso per genitori. Eccoci quindi intorno a un tavolo con altre 15 coppie di genitori di figli che partecipano ad Up2Me, accompagnati da Cecilia e Davide che da anni seguono il progetto.

Già il fatto di essere così tanti dà un senso di sollievo: non siamo gli unici a sentire tutta la complessità dell’educazione dei figli. Gli accompagnatori, cercando di costruire un clima di fattiva collaborazione, ci chiedono innanzi tutto di scegliere quali argomenti affrontare prioritariamente nei successivi incontri. Ciò che più ci colpisce è l’approccio basato su laboratori pratici. Si parte da un possibile problema, o un obiettivo; dopo poche parole introduttive, ci si divide per riflettere in coppia sugli stimoli, seguendo lo schema di valutazione che porta ad impegnarsi in piccoli passi concreti da mettere in atto subito. Dobbiamo ammettere che di errori di impostazione ne commettiamo tanti, perché l’istinto gioca brutti scherzi, ma il risultato che otteniamo alla fine dell’incontro è quello di vedere i nostri figli con occhi nuovi, avendo al nostro arco qualche freccia in più da utilizzare per centrare il bersaglio.

Per esempio, in un incontro ci è stato chiesto di immaginare il nostro figlio tra 20 anni, adulto, che fa quello che più gli piace fare: cosa possiamo fare oggi perché lui o lei possa arrivare lì? Il fatto di ragionare per obiettivi, cercando di partire da quelli e non dalle premesse, è una vera rivoluzione copernicana per noi. Un obiettivo che ci portiamo a casa è creare contesti perché i nostri figli si sentano liberi e stimolati ad accogliere in casa gli amici, per coltivare amicizie reali e non virtuali: le discussioni sull’uso dei telefonini si possono risolvere anche così.

Scuola tutor progetto Up2me nelle Filippine
Scuola tutor progetto Up2me nelle Filippine

Un’altra indicazione è quella di passare più tempo con loro, facendo qualcosa di divertente e interessante: sport, giochi, anche se non sono più loro a chiedercelo; passeranno agli annali le grandi sfide a Trivial Harry PotterIl confronto continuo all’interno della coppia è uno degli “effetti collaterali” di Up2Me: abbiamo visioni differenti, risposte diverse alle domande dei figli; per esempio la nuova aggressività verbale di uno di loro genera reazioni diverse in noi, che portano a discussioni, ma è chiaro il fatto di essere una sola squadra, dove si gioca con ruoli diversi per uno stesso obiettivo. Ruoli che non sempre sono quelli “naturali” fino ad oggi: per esempio, in certi casi è Massimo il mediatore e Lucia il giustiziere, quando quasi sempre è stato il contrario.

Anche la parte di confronto con gli altri genitori è illuminante: la condivisione fa emergere aspetti non colti dall’analisi fatta tra noi due. Si genera così una “famiglia di famiglie”, per cui capita di vederci o sentirci fuori dall’incontro con altre famiglie partecipanti, continuando i discorsi durante una cena o una merenda. Sappiamo bene che non esistono bacchette magiche che permettono di risolvere tutti i problemi. Sappiamo che dovremo affrontare chissà quante situazioni nel rapporto coi nostri figli, come succede alle altre coppie di genitori. Stiamo però cercando di crescere insieme ai ragazzi, come genitori, con la volontà di trasmettere loro, insieme all’amore, anche quelle modalità che poi si troveranno a mettere in pratica quando avranno figli a loro volta.

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