Eduardo De Filippo e Napoli, un legame indissolubile

Per il grande attore e regista il rapporto con la sua città natale non fu facile, ma sempre caratterizzato da un amore sconfinato. Indimenticabili il suo impegno per i più deboli e il suo realismo magico, popolare ed ironico. Il ricordo di un incontro con un giovane studente, a trent'anni dalla morte di questo gigante del teatro
Napoli

«Sono nato a Napoli il 24 maggio 1900 dall’unione del più grande attore-autore-regista e capocomico napoletano di quell’epoca, Eduardo Scarpetta, con Luisa de Filippo, nubile. Mi ci volle del tempo per capire le circostanze della mia nascita, perché a quei tempi i bambini non avevano la sveltezza di quelli di oggi, e quando a undici anni seppi che ero figlio di padre ignoto per me fu un grosso shock…». È lo stesso Eduardo de Filippo a raccontare questo episodio della sua infanzia difficile, che sicuramente influenzò il suo temperamento e la sua poetica di scrittore di teatro. Anche il rapporto difficile che instaurò con la sua città natale e che lo indusse a lasciarla definitivamente nel dopoguerra, fu in qualche modo determinato da quel rapporto ambiguo con una paternità non riconosciuta, ma sempre incombente e plateale. Tuttavia Napoli sarebbe rimasta per sempre nel suo sangue di artista ad ispirarlo con i suoi umori popolari e fantastici, con i suoi colori, ma soprattutto con le sue piccole e grandi tragedie.

Continuo fu il suo tentativo di ritornarvi. Nel 1948, per comprare ciò che restava del teatro San Ferdinando distrutto dai bombardamenti. Voleva che quel teatro risorgesse lì dov’era. «Non scorderò la luce che aveva negli occhi quando si applicava a quell’impresa trascinatasi per alcuni anni», ricorda ancora oggi suo figlio Luca. Un altro ritorno nel 1958, quando venne incaricato di dirigere il Teatro Stabile Napoletano. Dopo aver accettato con entusiasmo, rimase deluso e amareggiato dall’incontro con i Commissari, a tal punto da rinunciarvi. Ai giornalisti che gli chiesero il motivo del suo rifiuto disse che a Napoli c’era troppa confusione. Volevano che diventasse un politicante e che si barcamenasse tra varie correnti. Ma questo proprio non era per lui.

Tuttavia non dimenticò mai la sua città, quell’humus variegato di innocenza e furbizia, di splendore e miseria, di ingenuità ed inganno che gli aveva ispirato e continuava ad ispirargli i testi delle sue commedie. Come pure non dimenticava di menzionare i mali secolari che toccavano la famiglia, gli anziani, i reclusi, i bambini dei quartieri, i senza tetto, i diseredati, ai quali pure bisognava dare risposte.

Quel realismo magico e popolare insieme, venato di ironia e di commossa partecipazione, di commedie come Questi fantasmi, Filumena Marturano, Napoli milionaria, Natale in casa Cupiello, ancora oggi rappresentate nei teatri di tutto il mondo, nasceva proprio da questo amore per l’uomo della sua città che egli seppe sempre più esprimere compiutamente nei dialoghi serrati, nel fraseggiare assorto e sapiente reso nel tempo sempre più in maniera essenziale, tanto da lasciare allo sguardo e alle movenze del corpo più che alla parola la possibilità di comunicare la sua anima.

Come ultimo suo gesto d’amore per la città, negli anni in cui fu senatore a vita, intervenne a favore dei minorenni rinchiusi nel famoso carcere Filangieri. Un indicazione precisa dell’uomo e dell’artista che sempre aveva guardato con attenzione le nuove generazioni alle quali voleva trasmettere fiducia e speranza nel futuro.

Nitido un ricordo personale di quegli anni. Studente universitario, mi trovavo in piena crisi con gli studi. Da poco la televisione aveva trasmesso la serie delle commedie di Eduardo De Filippo, per me una scoperta e un’emozione tra le più grandi. Mi convinsi che quell’uomo poteva tirarmi fuori dalle secche di quei giorni e, perché no, introdurmi nel mondo del teatro. Mi recai così al San Ferdinando per chiedere un appuntamento col maestro. Mi accolse un signore anziano molto gentile, che mi si presentò come il ragioniere Carlo Argeri, segretario e uomo di fiducia di Eduardo. Prese appunti sulla sua agenda e mi promise un appuntamento in occasione di un prossimo passaggio per Napoli della compagnia. Neanche ci speravo. Invece, inaspettata, dopo qualche tempo, mi giunse la convocazione proprio al san Ferdinando. Cosa avrei raccontato al grande Eduardo? Sarebbe bastato dirgli della mia passione per il teatro e delle mie piccole esperienze di filodrammatiche, per essere assunto e chiudere così definitivamente con l’Università?

Mi presentai all’appuntamento, per esprimergli intanto la mia ammirazione per la sua arte, ma anche per consegnargli la mia richiesta. Il ragioniere Argeri mi disse che il maestro mi aspettava in camerino, dove si stava preparando per andare in scena. Mi indicò la strada lasciandomi poi da solo. Timoroso, avanzai per la scala a chiocciola che menava nella zona degli attori dietro il palco. Giunto in alto sbirciai nelle stanze per individuare dove dirigermi. La sua porta era spalancata e vidi che stava abbottonandosi la camicia, il collo era ancora alzato.

«Permesso?», dissi. «Prego – mi rispose, – si accomodi». Rimasi in piedi mentre lui si sistemava alla meglio il collo della camicia. «Mi dica – continuò, – il ragioniere mi ha già parlato di lei». Superando l’emozione, gli raccontai della mia difficoltà negli studi e del desiderio che m’era nato, dopo aver visto e ammirato molto le sue commedie in tv. Alla sua domanda se avessi già esperienza di teatro, gli elencai quelle due o tre cose che avevo fatto nelle filodrammatiche. Mi seguì con attenzione fissandomi negli occhi, poi, quando ebbi finito, con un fare pacato disse: «La mia compagnia è al completa e non abbiamo ancora una scuola per giovani che vogliono intraprendere questo lavoro. Non si sa mai, in futuro. Se tu avessi avuto già qualche esperienza professionale, sarebbe stato diverso, perché qualche attore può sempre andar via». Poi, dopo una pausa aggiunse: «lasci i suoi recapiti al ragioniere».

Mentre mi tendeva  la mano per salutarmi, disse ancora: «Non lasci ancora gli studi, e non si scoraggi così presto. Le faccio i miei auguri». Uscii dal suo camerino più emozionato di quando vi ero entrato, le gambe mi tremavano e quasi mi sembrava di aver vissuto un sogno. Mi voltai ancora una volta indietro per vedere se lui era proprio lì, oltre quella porta dalla quale ero uscito. Sì, non era stato un sogno, avevo incontrato il grande Eduardo.

Ridiscesi la scala a chiocciola, lasciai le notizie al ragioniere Argeri e mi rituffai nei vicoli di Napoli, stordito, ma felice.

Sono ritornato al teatro San Ferdinando anni dopo, ormai laureato e al mio primo incarico di insegnamento al liceo Denza di Napoli. Questa volta ero tra il pubblico per applaudire il maestro che metteva in scena Il Sindaco del rione Sanità, e tra gli applausi gli dicevo il mio grazie per quell’incontro unico e decisivo.

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