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Ecologia integrale, il caso del lago Albano

a cura di Carlo Cefaloni

- Fonte: Città Nuova

Carlo Cefaloni

Alle porte di Roma il millenario bacino lacustre di origini vulcaniche si sta prosciugando per cause legate all’espansione urbanistica con effetti devastanti sull’intero territorio in emergenza idrica. Quali interventi non sono più rimandabili? Intervista all’architetto ed esperto di ambiente Roberto Sinibaldi

Lago Albano foto Roberto Sinibaldi

L’area geografica dei Castelli romani rappresenta un grande patrimonio naturale e cultuale collocato a sud est della Capitale. Ogni paese mantiene una sua identità che non resta assorbita dalla grande città, anche se il territorio subisce negli ultimi anni le conseguenze di una pressante espansione urbanistica che ha cancellato interi paesaggi e ambienti di millenaria vocazione agricola.

Si sono salvate finora, probabilmente grazie alla loro extraterritorialità, le ville pontificie, collocate tra le cittadine di Albano e Castel Gandolfo. È qui che è nato da poco il villaggio Borgo Laudato Si’ ideato per dare seguito concretamente alle intuizioni e alle proposte dell’enciclica di papa Francesco sulla “cura della casa comune”. Proprio la visione proposta a percepire che “tutto è connesso” apre alla necessità di allargare lo sguardo sulle condizioni precarie del lago Albano che si può contemplare in tutta la sua bellezza dal paese di Castel Gandolfo, storica residenza estiva del papa, molto apprezzata da Leone XIV che ha cominciato a frequentarla con regolarità.

Per conoscere meglio la situazione abbiamo intervistato l’architetto Roberto Sinibaldi, esperto ambientalista con esperienze consolidate nel campo della gestione dei parchi naturali nel Lazio.

Che caratteristiche ha il lago Albano e che rapporti ha con quello vicino di Nemi? 

Ai Castelli Romani i laghi sono due: Albano e Nemi. Il secondo è più piccolo, meno conosciuto e frequentato del primo, ammantato da un’aura di mistero. Come si intuisce bene dalla forma dei crateri, i due laghi sono di origine vulcanica, si sono formati in una delle ultime fasi del Vulcano Laziale.

Lago Albano foto R Sinibaldi

Si dice che i due laghi siano collegati tra loro…

Si tratta di una credenza del tutto infondata. Il livello delle acque di Nemi è infatti maggiore di 25 metri rispetto ad Albano ed è la prova che i due specchi d’acqua non sono in comunicazione. In realtà ci sono anche altri bacini, ormai prosciugati. Alcuni di loro solo qualche secolo fa, come Vallericcia, il cui cratere è ancora nettamente visibile.

Da dove prende il nome il lago Albano?

Il Lacus Albanus, cioè lago di Alba, deriva il nome da Alba Longa, la principale città della civiltà latina. La localizzazione di questa città rimane incerta, spesso viene identificata con l’odierna Castel Gandolfo. Al sorgere del sole il crinale su cui si snoda Castel Gandolfo appare all’orizzonte con il chiarore smagliate delle prime luci, che la illuminano in tutta la sua lunghezza. Quindi un luogo bianco e lungo, Alba Longa, appunto. Come noto, alba deriva da albume, il bianco dell’uovo.

Come si spiega il fenomeno del  prosciugamento progressivo del lago di Albano e come è iniziato questo problema? 

Le foto che si trovano in rete, o che giacciono negli album di famiglia di molti di noi, testimoniano che fino a solo qualche decennio fa l’acqua sfiorava il livello della strada. Dagli anni Settanta/Ottanta il livello ha cominciato ad abbassarsi, con un declino via via sempre più veloce. Attualmente siamo a circa 6 metri sotto il livello idrografico (1960).

Cosa vuol dire in pratica?

Che abbiamo perso circa 40 milioni di metri cubi di acqua. Sono venuti così allo scoperto intere porzioni di terreno che solo fino a qualche anno fa erano i fondali del lago. Sono anche affiorati alcuni segmenti dei pali di fondazione del villaggio palafitticolo delle Macine (risalente all’età del bronzo, XVIII secolo a.C. circa.), che si erano conservati perché in acqua. Oggi, a contatto con l’aria, si sono polverizzati quasi del tutto. Intorno al lago Albano – ma la stessa cosa è accaduta al lago di Nemi – negli ultimi decenni si sono progressivamente esaurite le fonti poste più in alto nel cratere, fin quando si sono inaridite anche quelle al livello del lago. Della situazione delle fonti sublacuali poco sappiamo. L’emergenza era già chiara quaranta anni fa!

Quale è la ragione di questo abbassamento? 

Un prelievo che ha superato le capacità di ripascimento delle falde. Captiamo più acqua di quanto i sistemi naturali siano in grado di accumulare. Il Vulcano Laziale è un sistema idricamente chiuso, le pianure immediatamente adiacenti non hanno apporti idrici naturali esterni, come potrebbe essere la presenza di un fiume. Il forte disboscamento degli ultimi decenni ha certamente contribuito alla riduzione delle capacità generative del ciclo dell’acqua. L’impermeabilizzazione dei suoli ha specularmente prodotto la limitazione delle capacità di ricarica delle falde.

Il fenomeno della cementificazione che ha investito pesantemente Roma si è riprodotta anche in quest’area. Quale è la situazione attuale?

Ci troviamo in un ambiente fortemente antropizzato; nell’area dei Castelli Romani risiedono circa 400 mila persone. Se i Castelli Romani fossero un Comune, sarebbe di gran lunga il secondo del Lazio dopo Roma, per abitanti. L’emungimento sfrenato ha sottratto milioni di metri cubi alle acque sotterranee (i pozzi censiti sono circa 40.000 e quelli abusivi stimati altrettanti, e queste sono cifre prudenziali). In alcune zone (pian dei Cerri) già da qualche anno si emunge l’acqua geologica, ossia quella non di falda, ma quella che si è formata in tempi antichissimi, indipendente dal ciclo meteorico.

Con quali conseguenze?

Parliamo di risorse che vengono prelevate a grande profondità, con la necessità di essere corrette e purificate dal punto di vista chimico e che, una volta utilizzate, non saranno più disponibili. Si tratta quindi di risorse non rinnovabili secondo i nostri canoni antropici. Un campanello d’allarme molto significativo! La nuova urbanizzazione moltiplica le necessità idriche, in qualche caso si è arrivati a costruire nuove residenze in luoghi già in sofferenza per la penuria d’acqua. La riduzione dei volumi di acqua ha delle ripercussioni generali anche per l’ambiente naturale del lago e i suoi equilibri ecosistemici. L’overtourism, inoltre,  caratterizza in maniera massiccia anche il lago, che da luogo protetto per la sua naturalità si è trasformato in una meta del turismo più dissipativo.

Lago Albano foto Roberto Sinibaldi

Quali conseguenze derivano da tale stato di cose e cosa può accadere di più preoccupante? 

La situazione attuale è già molto preoccupante. Dal 2009 il territorio è stato dichiarato area di emergenza idrica. Quello che può accadere è che progressivamente si amplino le aree in cui d’estate ci siano le turnazioni per l’uso dell’acqua. In queste condizioni il grandissimo prelievo necessario per il progettando inceneritore di Roma, localizzato sotto Albano Laziale, va esattamente nella direzione opposta a una limitazione del danno. Ci sono anche prelievi relativamente limitati, che esorbitano i limiti di legge, come quello del Vaticano, che attinge dalle acque del lago per le necessità dei giardini, orti e allevamenti di Castel Gandolfo. La clausola prevista in un addendum dei Patti Lateranensi consentiva il prelievo delle acque di sfioro dell’emissario (artificiale del IV secolo a.C.). Ora le acque del lago sono sotto alla soglia di sfioro dell’emissario di 4/5 metri, ma i prelievi continuano. Non credo che sia il caso di aprire un contenzioso tra Stati, ma confido in un’opera di sensibilizzazione del Vaticano nella direzione giusta già intrapresa nel segno dell’ecologia integrale.

Quali interventi sono necessari e quali ostacoli occorre superare per poterli realizzare?

Per intervenire efficacemente occorre attuare con urgenza un ventaglio di soluzioni, ognuna delle quali può dare un contributo. Ci vuole tempo, tenacia, risorse economiche e coinvolgimento sociale. La politica in questo finora non ha aiutato. Si sono fatti soprattutto convegni. Ma poco o niente di concreto. In questi incontri pubblici puoi dire di tutto, ma non ti puoi azzardare a mettere in discussione il modello economico che è proprio quello che ha generato questo stato di cose. Un modello economico che ha sempre considerato il territorio una merce, una leva per fare soldi, soprattutto con nuovi prelievi e nuove costruzioni.

Da quanto dura questo stato di cose?

I Castelli Romani subiscono da almeno 50 anni la diaspora residenziale da Roma. Nuovi residenti espulsi dalla capitale dagli alti costi della vita, spesso privilegiano una scelta nell’hinterland. Si crea così una conurbazione inestricabile, carica in potenza di quei problemi che si volevano abbandonare nella città. Andrebbero anche rivisti in radice – e subito – i modelli di consumo della risorsa acqua. Basti accennare che in Italia abbiamo un consumo procapite di acqua (400 litri di acqua al dì) di gran lunga tra i più alti d’Europa. Si dovrebbero rivedere i nostri sistemi fognari, che in Italia sono misti e mischiano le acque reflue nere e grigie, con uno spreco significativo di quello che si potrebbe recuperare con pochi interventi di trattamento. Il recupero delle acque piovane vero e proprio, poi, è una vera rarità.

Altri interventi urgenti nell’area?

Nei Castelli Romani occorre censire e chiudere i pozzi inutilizzati (per salvaguardare le falde) o poco utilizzati. Limitare e razionalizzare i prelievi; limitare gli sprechi; eliminare quelli non finalizzati all’uso strettamente antropico. Limitare o eliminare l’uso in agricoltura per colture fortemente idrovore. In tutto questo le manifestazioni di sensibilizzazione, culminate nei mesi scorsi con marce e il simbolico sversamento nei laghi di “secchiate d’acqua” ha il valore del coinvolgimento sociale – imprescindibile –, ma purtroppo molto lontano dal coinvolgimento dei decisori politici apicali, almeno regionali. È impellente un cambio di paradigma, ma al momento da parte della politica si intravede solo qualche debole segnale

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