Ecatombe in mare al largo della Libia

Arriva dall’Unhcr la notizia della tragedia con la morte di 150 persone in fuga dalle coste libiche
AP Photo/Hazem Ahmed

Il 25 luglio, al largo delle coste libiche di Al Khoms, a circa 120 chilometri da Tripoli, due imbarcazioni, cariche di migranti, si sono capovolte. 137 persone sono state recuperate e riportate in Libia, altre (un numero ancora imprecisato, ma che potrebbe sfiorare i 150) sono morte annegate in mare.

La notizia è stata data dal portavoce della Guardia costiera libica e confermata dall’Unhcr, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati.

A meno di 6 anni dal naufragio di Lampedusa, quando le vittime accertate furono 366, un’altra tragedia di ampie dimensioni. Nel frattempo ci sono stati altri sbarchi e altri morti a funestare questi ultimi anni.

Le vittime sarebbero soprattutto eritrei e sudanesi. Le notizie che arrivano sono frammentarie e ancora imprecisate. Si parla di una barca con almeno 250 persone, è ancora incerto il numero delle imbarcazioni coinvolte.

Medici senza Frontiere ha parlato di tre o quattro gommoni e di 300 persone a bordo. Si tratta, in ogni caso, del maggior numero di morti nel Mediterraneo nel 2019.

Il portavoce dell’Unhcr per Africa, Charlie Yaxley, ha richiamato l’attenzione sul fatto che «ci deve essere un cambiamento nell’approccio alla situazione nel Mediterraneo. Salvare vite in mare è un bisogno urgente».Ma «salvare vite umane», oggi, sembra non essere più la priorità. E la notizia dei morti al largo delle coste della Libia non richiama più l’attenzione dei media come qualche anno fa.

La situazione nel Mediterraneo appare angosciosa. Vi sarebbero altri gommoni in mare che stanno cercando di raggiungere le coste italiane e soprattutto le isole Pelagie.

La Guardia costiera italiana ha preso in carico una cinquantina di migranti che rischiavano di naufragare al largo dell’isola di Malta, in acque territoriali maltesi. Altri 91 sarebbero stati raccolti da un gommone. A bordo ci sono 141 persone: queste, per fortuna, sono state tratte in salvo.

Il problema dei migranti, della gestione dei salvataggi in mare, resta una priorità ancora irrisolta da questo governo, così come da quelli che l’hanno preceduto.

Non è servito l’accordo del ministro Marco Minniti che ha regalato fondi e motovedette ai libici, senza una soluzione reale del problema. Non è servita l’opera del suo successore, Matteo Salvini, che ha dichiarato guerra alle Ong, spostando l’asse del problema e puntando la bussola verso il problema secondario (chi soccorre e dove portare i migranti) anziché ricercare una soluzione condivisa con gli altri Stati europei.

Su questo tema, sia Salvini che il suo predecessore hanno un’opinione comune: serve una gestione condivisa da parte dell’Unione Europea. Ma non si riesce ad immettersi sulla strada vera del dialogo e della ricerca di una soluzione condivisa.

Non è consentito rinchiudersi all’interno di logiche di conservazione e di tutela degli interessi dei singoli stati. E l’Italia che, per la sua posizione, è l’avamposto nel Mediterraneo, non può essere lasciata sola e non può ricevere sempre dei no dagli altri Paesi europei. Né le spinte sovraniste e la poca propensione al dialogo dell’attuale governo sono un aiuto per superare questi problemi atavici, anzi rischiano senz’altro di incancrenirli.

Prepariamoci a celebrare l’ennesimo funerale di vittime innocenti tra i flutti del Mediterraneo. I corpi sarebbero stati riportati in Libia. Stavolta senza clamori, forse saranno seppelliti in fretta e furia. Come accade ai tempi delle epidemie, della peste e del colera.

Perché la vita di queste persone, su cui tanti lucrano, a partire da chi gestisce i campi in Libia e dagli scafisti, conta ancora poco, troppo poco! E rischia di contare sempre meno … come le cronache di oggi dimostrano. Segno, anche questo, di un dietro-front culturale del nostro Paese, di un’assuefazione alla morte, che preoccupa non poco.

I migranti fanno notizia se si tratta di “guerreggiare” con una nave delle Ong costretta a rimanere in mare per 18 giorni. Fanno meno notizia – ahimè – se muoiono tra i flutti del Mediterraneo! I morti sono persone. Lo erano nel 2013, lo sono anche oggi. Sono persone.

 

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