E’ sempre l’ora della fiction

Ecosì la prima kermesse – anzi festa secondo l’uso romano, ormai consolidato – sulla fiction è stata vincente. A giudicare dai numeri forniti dagli organizzatori: 33 mila spettatori totali, 600 giornalisti italiani e stranieri, 29 anteprime mondiali, 140 titoli, masterclass e convegni, sale piene (in verità, non sempre)… Gli stranieri han- no fatto la loro parte, tant’è vero che la statuetta del Maximo Award del Roma Ficction Fest tempestata di diamanti è andata all’inglese Perfect parents: storia di un bambino che frequenta una scuola cattolica, viene molestato da un prete (cattolico, ovviamente, ormai sembra che la pedofilia stia tutta da queste parti…), reazione violenta del padre e fine misteriosa del prete. Un film dignitoso, certamente, non un capolavoro. Certo, dall’estero sanno presentare prodotti ben confezionati che fanno della fiction cinema vero e proprio, ricco di anima e di professionalità. Mi riferisco ai francesi La Dame d’Izieu, storia di una donna che salva bambini ebrei dai nazisti, in cui la Francia ha il coraggio – che a noi ancora manca – di far i conti col proprio passato collaborazionista; o alla Marquise de Pompadour, minikossal, ritratto scenicamente perfetto di un mondo barocco. Penso all’inglese The Tudors, potente affresco della dinastia reale, o a Prime Suspect in cui l’attrice Helen Mirren (giustamente premiata) interpreta una poliziotta alcolizzata… L’Italia però non è rimasta indietro.Ha presentato in anteprima coproduzioni internazionali, ormai vincenti, come Guerra e pace e Caravaggio – in entrambe protagonista un credibile Alessio Boni -: due kolossal storici realizzati con ampiezza di mezzi, gusto, interpretazioni convincenti da parte degli attori, ricostruzioni storiche apprezzabili. Grandi sceneggiati, di impatto realmente cinematografico. Di premi il Belpaese ne ha collezionato parecchi: si va da Maria Montessori diretta da Gianluca Tavarelli con la brava Paola Cortellesi, all’Ultimo padrino di Dino Risi con il polivalente Michele Placido, a Nassyria con Raoul Bova diretto da Michele Soavi. Anche se c’è un eccesso di film mafiosi o bellici – un fatto questo che crea un senso di ansia di cui si farebbe volentieri a meno – pure il bellissimo Giuseppe Moscati (premiato) con un eccellente Beppe Fiorello e la regia equilibrata di Giacomo Campiotti ha commosso la platea, giustamente, perché quando si parla di personaggi generosi il pubblico è tutt’altro che insensibile, specie se il prodotto è reso con misura. Così, pur senza riconoscimenti ufficiali, è piaciuto, e molto, Rino Getano di Marco Turco con uno splendido Claudio Santamaria nel ruolo dell’artista maledetto – come oggi usa rimeditando con favore i mitici(?) anni Settanta – oppure è stato apprezzato e premiato un attore versatile come Pierfrancesco Favino in Liberi di giocare di Francesco Miccichè, storia di redenzione calcistica autentica di un gruppo di carcerati. Insomma, come si nota, la fiction vola, piace alla gente e, si spera, tende ad un miglioramento non solo tecnico ma anche contenutistico. Certo, forse ci si stanca un poco di poliziotti o di medici, di terroristi o mafiosi o di supereroi dello sport o della musica canonizzati in fretta: processo che la fiction per sua natura tende ad esagerare: non è infatti finzione? Perciò una kermesse come quella romana, ben venga, se sa presentare lavori che puntano alla qualità interpretativa e a storie che non solletichino soltanto l’emotività. Le retrospettive sulle grandi fiction televisive del passato, con i loro limiti, ne tenevano conto. Ci si augura che la prossima edizione della Festa presenti forse un numero minore di lavori e di sezioni, puntando a quella linea qualitativa che è risultata, a dire il vero, la più apprezzata dal pubblico. Che è intelligente e sa scegliere.

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