E se il “no” ai Giochi fosse una chance?

Il governo Monti ha bocciato la candidatura di Roma per le Olimpiadi 2020, ritenendola rischiosa nelle attuali condizioni economiche e finanziarie del Paese. Le reazioni di politici e sportivi
Gianni Alemanno candidatura Olimpiadi Roma

«Il Governo ha ritenuto, dopo valutazione sofferta, che non sarebbe responsabile, nelle condizioni dell’Italia, assumere questa condizione di garanzia e gravare sulle finanze. Siamo nei mesi in cui è prematuro sganciare le cinture di sicurezza». Con queste parole Mario Monti ha spiegato le motivazioni del no del governo alla candidatura di Roma per le Olimpiadi 2020. In queste settimane, più Monti approfondiva il dossier della commissione e più si convinceva dei rischi eccessivi legati all’operazione: rischio serio di lievitazione dei costi, procedure con scarse garanzie, vaghezza del piano, spettro di cricche d’affari in agguato.

Come avrebbe potuto giustificare di mettere sul tavolo, senza garanzie, cinque miliardi di euro dei contribuenti in un momento come questo? A metterlo in guardia ci aveva pensato il mese scorso il primo ministro inglese Cameron, invitandolo a non dare troppo retta agli studi di fattibilità, visto che a Londra, per le Olimpiadi ormai prossime, persino l’authority creata ad hoc per controllare gli appalti non è bastata a frenare le spese, che sono addirittura raddoppiate. E come non pensare che il colpo di grazia alle decisioni del nostro governo l’abbia inferto la bancarotta greca, che molti ritengono aver preso il via inesorabilmente proprio con il buco creato dalle Olimpiadi di Atene?

Senza nascondere che all’orizzonte poteva profilarsi per il nostro Paese il rischio di una guerra diplomatica. È stato probabilmente il ministro degli Esteri Giulio Terzi a prospettare a Monti i risvolti geopolitici di una candidatura che poteva scombinare i piani della Merkel, che non ha mai nascosto il suo appoggio alle ambizioni olimpiche di Istanbul, in un momento in cui l’Unione europea e gli Stati Uniti stanno cercando di avvicinare sempre più la Turchia all’Occidente. Dopo i plateali riconoscimenti dei grandi d’Europa e di Obama agli sforzi del nostro governo per risanare i debiti, c’era il serio rischio che qualcuno mettesse in dubbio la serietà dell’impegno. Nei prossimi mesi staremo a vedere quali logiche prevarranno: i Giochi sono nelle mani di Turchia, Qatar e Giappone, ovvero politica, soldi e nuovi fronti commerciali.

I commenti degli schieramenti politici paiono più orientati a non farsi sfuggire un’occasione per recuperare un po’ di quel palcoscenico perduto da quando un governo tecnico li ha messi in disparte, che a entrare nel merito. Al di là degli apprezzamenti, infatti, o, rispettivamente, delle disapprovazioni legate al fatto che le Olimpiadi potevano o meno essere un affare, nessuno ha speso una parola sulla realtà dello sport italiano che attende da anni riforme (e finanziamenti) sostanziali, nella direzione di promuovere il valore educativo e sociale che lo sport potrebbe, e dovrebbe, avere.

Condividiamo solo in parte il pensiero del massimo giornale sportivo italiano, che vorrebbe dirottati i soldi dell’Olimpiade verso l’impiantistica sportiva o verso la costruzione di nuovi stadi moderni e funzionali. E che invece che promuovere la bellezza della pratica sportiva offre quindici (sic!) pagine del suo settimanale a Beckham in mutande. Quella che merita di essere promossa è una cultura dello sport, realtà di cui siamo davvero carenti, in grado di far crescere una diffusa consapevolezza del valore individuale e sociale dell’esperienza motoria, di frenare la commercializzazione e la spettacolarizzazione esasperata che falsa la natura dello sport, di promuovere la prevenzione dei problemi legati alla sedentarietà, di dare competenza all’intenzionalità educativa delle attività sportive, di promuovere esperienze che formino, che aiutino a crescere, che includano, e non diseducative e selettive ad età sempre più precoci.

Alla pur apprezzabile Lettera al mondo dello sport del presidente del Coni Petrucci, fa oggi da contraltare il sondaggio raccolto fra gli sportivi: l’85 per cento ritiene giusto aver rinunciato. Vuoi vedere che anche nello sport si sta facendo largo quel cambiamento di mentalità che ci auguriamo per tutti gli italiani?

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