I due soli di Pontebernardo

Contro lo spopolamento dei piccoli borghi alpini, il ruolo indispensabile dei pastori come interpreti e divulgatori del paesaggio colturale e culturale montano

Alla sommità dell’Alta Valle Stura, in provincia di Cuneo, tra gli ultimi paesetti prima di attraversare il Colle della Maddalena e raggiungere la Francia, si incontra una graziosa borgata, Pontebernardo che sorge a 1300 metri sul livello del mare e fa parte del comune di Pietraporzio.

Paesi di montagna che ora, avvolti dalla neve racchiudono un fascino tutto particolare. Le case sono semplici e dai camini accesi esce il profumo di larici e pino, che bruciano lasciando nell’aria un profumo di “pulito”, di fresco. L’inverno è lungo e gli abitanti, quasi tutti pensionati, vivono dei prodotti dell’orto che immancabile sorge accanto ad ogni casa.

La strada statale che collega l’Italia alla Francia appena lambisce il paese, e spesso rimane interrotta per pericolo valanghe o troppa neve. Chi viene fermato dall’interruzione sosta nelle pensioni ben attrezzate. Tutt’attorno si alzano vette da sogno con rocce e speroni che d’estate offrono i loro sentieri per lunghe escursioni.

Qui siamo in territorio occitano con una sua lingua, le sue tradizioni, le sue feste colorate, tipiche e rallegrate sempre dal suono della ghironda e dalle danze in costume. Qui si celebra la ‘Festo dou Tarluc’, Il termine occitano ‘Tarluc’, dal latino inter lux, a Pontebernardo è utilizzato per indicare il lasso di tempo in cui il sole scompare, in inverno, dietro la cima dell’Ubac, per poi ricomparire più tardi. Per questo fenomeno gli abitanti del luogo usano l’espressione in lingua d’oc: a Poumbarnart aven dui souléi (a Pontebernardo abbiamo due soli). Si perché per una decina di giorni il sole sorge, poi tramonta dietro il monte e dopo un’ora sorge nuovamente per poi tramontare. Per vedere questo fenomeno salgono fin lassù centinaia di persone animando la piccola borgata alpina.

Naturalmente la Comunità Montana organizza parecchi interessanti iniziative con l’obiettivo di far vivere e valorizzare antiche tradizioni legate all’attività del posto. Molto bello e di gradevole ascolto, nella Chiesa parrocchiale dell’Assunta, il grande concerto,”L’Occitania, gli strumenti, il Natale”. Da visitare poi, nei locali dell’Ecomuseo, il percorso museale “Na draio per vioure – Un sentiero per vivere”, il Centro di Selezione degli arieti, il punto vendita dei prodotti in lana, il Caseificio per la lavorazione del latte di pecora sambucana, il laboratorio dei salumi di carne ovina ed il punto di degustazione “Agri Bistrot Pecora Nera”.

Suscita poi curiosità: “Pastori, ambasciatori del paesaggio“, a cura dei professori dell’università di Torino in cui si racconta la pastorizia in montagna vera attività zootecnica “primaria” per il ruolo sociale, ecologico, culturale che riveste ed è fondamentale per la conservazione dei territori meno favoriti.

Su allevamento, transumanze e commercio del bestiame si era centrata la vita economica di molte vallate alpine. A queste attività si deve la costruzione di componenti essenziali del paesaggio alpino, quali prati, pascoli e insediamenti umani ad essi connessi. La pastorizia, ridimensionata dalle dinamiche di spopolamento delle vallate piemontesi del XX secolo, oggi più che mai deve essere riconosciuta per le funzioni di manutenzione di habitat e di conservazione della biodiversità. È pertanto necessario valorizzare in modo concreto quelli che oggi, secondo una terminologia riconosciuta internazionalmente, vengono definiti servizi ecosistemici. Solo in questo modo si potrà contrastare la limitata o nulla conoscenza di tale ruolo al di fuori di ambiti più locali.

Le figure dei pastori come interpreti e divulgatori del paesaggio colturale e culturale montano potranno così avere un ruolo importante nella costruzione di scenari di sviluppo territoriale. Scenari possibili e sostenibili.

 

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