Due bimbe, un solo cuore

Il caso delle gemelline siamesi nate a Bologna sta facendo discutere l’Italia. Intervista a Daniela Notarfonso, vicepresidente nazionale di Scienza e vita
operazione chirurgica

Hanno due teste, quattro gambe, e sono unite da un unico cuore, malfunzionante, da un solo fegato e da un tratto dell’intestino. Si chiamano Rebecca e Lucia e sono due gemelline siamesi di due mesi nate, non senza difficoltà, a fine giugno a Bologna.

 

Insieme, prevedono i medici, non potranno vivere a lungo. Per entrambe i rischi sono altissimi. Qualche speranza può arrivare soltanto da una separazione dei due corpicini, ma quale scegliere? O, meglio, si può scegliere tra due vite umane e, per i genitori, tra due figli? E secondo quali criteri? Il caso, naturalmente, sta facendo molto discutere. E non manca chi critica i due genitori delle piccole, per averle fatte nascere. Eppure loro, residenti in un paesino della pianura padana, poco più che trentenni con altri due figli piccoli, sono un vero esempio per tutti. E, spiega chi li conosce, sono felici della scelta fatta. Nonostante tutto.

 

Daniela Notarfonso è medico bioeticista di Roma e direttore di un consultorio familiare, nonché vicepresidente nazionale di Scienza e vita.

 

Dottoressa, innanzi tutto, come si formano i gemelli siamesi? Si può adottare qualche forma di prevenzione?

«La nascita di gemelli omozigoti, derivanti cioè dalla divisione di un embrione nelle primissime fasi del suo sviluppo, è una evenienza che si osserva abbastanza frequentemente, quattro su mille nascite. Gli studi sui gemelli sono ormai molto sviluppati, sono state studiate le diverse etnie, l’esposizione a sostanze tossiche, l’età della madre… ma ancora non si è riusciti a capire veramente quale sia il motivo che inneschi il processo di divisione. Esiste certamente una familiarità ma è, e rimane tuttora, un evento misterioso, per il quale si determina la nascita di due persone che posseggono lo stesso patrimonio genetico, essendo stati generati dallo stesso embrione. Questo evento può avvenire entro la prima settimana di gestazione, e più avviene tardi, più facilmente si possono verificare incompletezze nel processo di divisione con la possibilità di giungere alla nascita di gemelli cosiddetti Siamesi (fortunatamente un’evenienza piuttosto rara). Non conoscendone le cause scatenanti, non è possibile pensare ad una strategia preventiva».

 

Le due gemelline hanno un unico cuore e un solo fegato. Il cardiochirurgo che dovrà effettuare l’intervento dice che deciderà quale far vivere in base ai migliori collegamenti che potrà effettuare tra gli organi. Altrimenti, entrambe potrebbero morire. Questa situazione è una grande prova per i genitori delle due bimbe. È giusto parlare di “dilemma etico”?

«È un enorme problema etico! È una di quelle situazione nelle quali non ci sono soluzioni preconfezionate, ma la situazione va studiata attentamente, osservata con grande accuratezza, cercando di favorire il più possibile la vita di entrambe. Solo nel caso in cui (e purtroppo è un’eventualità probabile) insorgessero problemi in una delle due, o in tutt’e due, allora sarebbe lecito intervenire, per salvarne almeno una, ma solo quando si presentasse il problema. Bisogna stare molto attenti e rifuggire alla tentazione dello “sperimentare”, considerata la situazione limite».

 

Qualcuno ha criticato i genitori perché non hanno voluto abortire. Cosa ne pensa?

«Purtroppo, nel nostro tempo ogni deviazione dalla cosiddetta normalità giustifica la richiesta ed il ricorso all’aborto cosiddetto terapeutico per i danni psico- fisici che la nascita di un figlio disabile potrebbe avere sulla madre. La testimonianza di accoglienza che hanno dato questi genitori è ancora più grande proprio perché è avvenuta in una situazione ostile nella quale, per un ribaltamento paradossale delle questioni in gioco, chi sceglie la vita si deve quasi “giustificare”.

«Mi sembrano molto sagge le parole del direttore del dipartimento salute della donna, del bambino e dell’adolescente dell’ospedale Sant’Orsola Malpighi, il prof. Lima, che in una intervista ha detto “se dovessimo estremizzare questo ragionamento dovremmo abbandonare tante persone che subiscono traumi stradali o ictus. Io do una lettura opposta, questi due genitori hanno avuto un coraggio da leoni”.

«Speriamo che la comunità sia capace, invece, di riconoscere la bellezza di una scelta così, capace di stare accanto a chi vive una situazione di disabilità, anche grave, prendendosi cura di queste vite con amore».

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