Draghi, Mattarella e il governo di alto profilo

Il presidente della Repubblica affida a Mario Draghi l’ultima possibilità di formare un governo di alto profilo, nel pieno della pandemia e della scadenza imminente per la presentazione del Recovery plan alla Ue. Attese e timori di un nuovo esecutivo tecnico. Grande rispetto verso «il Parlamento, espressione della volontà popolare» è la sua prima dichiarazione nell'accettare con riseva l'incarico del capo dello Stato.
Mario Draghi LaPresse - Matteo Corner

Esperimento Mario Draghi per un nuovo governo. Nella sera del 2 febbraio 2021 il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha deciso di affidare l’incarico di costituire un nuovo esecutivo all’ex presidente della Banca centrale europea nonché ex governatore della Banca D’Italia. Il lungo e prestigioso curriculum di Mario Draghi lo vede, ancora giovane, assistente di Federico Caffè, geniale ed originale maestro di economia di grande scuola umanista.

Richiamando tutti al principio di realtà, Mattarella ha spiegato l’impossibilità di andare alle elezioni (con campagna elettorale, formazione delle camere e nuova maggioranza) con il vuoto di potere provocato da «un governo senza pienezza di funzioni», proprio mentre il nostro Paese deve affrontare «mesi cruciali, decisivi, per la lotta alla pandemia, per utilizzare i finanziamenti europei e per far fronte ai gravi problemi sociali».

Il Presidente della Repubblica ricorda, per l’ennesima volta, che a fine marzo verrà meno il blocco dei licenziamenti e «questa scadenza richiede decisioni e provvedimenti di tutela sociale adeguati e tempestivi, molto difficili da assumere da parte di un governo senza pienezza di funzioni, in piena campagna elettorale».

Già senza tale blocco, a fine 2020 l’Istat registra un calo di occupazione di oltre 400mila persone, prevalentemente donne, senza contare le posizioni precarie e quelle delle piccole imprese che hanno ingrossato il numero dei nuovi poveri.

Le fasi finali del Conte 2

Il discorso di Mattarella era già pronto quando Roberto Fico, con tanto di protocollo e suono di trombe, ha salito le scale del Quirinale per certificare il fallimento del proprio mandato esplorativo alla ricerca di un nuovo accordo, “a partire dalla maggioranza” che ha sostenuto il governo Conte2.

La trattativa si è arenata nelle ultime ore, ma era già evidente lo scollamento della componente di Italia Viva dagli altri partiti. Il senatore Matteo Renzi ha affidato ai social l’elenco dei punti di dissidio presenti comunque fin dalla costituzione del governo  cosiddetto “giallorosso”: Bonafede (cioè la riforma della giustizia), Mes (cioè il ricorso, inaccettabile per i 5Stelle, ai debiti del Meccanismo europeo di stabilità), Scuola (cioè la gestione del ministro Azzolina), Arcuri (cioè la nomina del commissario straordinario anti Covid), vaccini (la gestione della campagna vaccinale), Alta Velocità (la questione delle grandi opere a cominciare dal Tav), Anpal (le politiche attive del lavoro) e reddito di cittadinanza (rifinanziato dalla legge di bilancio, perno dei 5 Stelle).

L’elenco potrebbe continuare all’infinito, se si legge il contro documento dei renziani al Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) elaborato dal Conte2. Resta difficile capire cosa abbia finora retto il governo ormai dimissionario guidato da Giuseppe Conte, che, da figura esterna ai partiti e pressoché sconosciuta, è avanti nei sondaggi di gradimento degli italiani. Ha dovuto affrontare la più grave crisi del dopoguerra, gestire una pandemia che supererà a breve, purtroppo, i 100 mila morti, riuscendo a trattare con l’Unione europea un accordo storico reso possibile da una presenza dell’Italia radicalmente diversa dalla maggioranza Lega 5-Stelle che lo ha sostenuto nel suo primo governo.

Il segretario del Pd, Zingaretti, come è noto, ha aderito controvoglia ad un governo di coalizione  gestendo una ridotta truppa parlamentare nominata in gran parte dal suo avversario Matteo Renzi che, come previsto, ha poi deciso di fondare un nuovo partito. Ora i dem sono tra le componenti che sosterranno il governo di salvezza nazionale, ma occorre vedere chi aderirà davvero all’invito di Mattarella. Il portavoce dei 5 Stelle, Vito Crimi, si è lasciato andare a prime dichiarazioni contrarie al nuovo esecutivo. Per Forza Italia si apre la possibilità di affrancarsi dall’egemonia della Lega per dimostrarsi una componente responsabile del Partito popolare europeo, mentre anche nel partito di Salvini potrebbe emergere il peso della componente di Giancarlo Giorgetti che intravede in un governo largo, a forte caratura tecnica, la possibilità di rientrare nel gioco della gestione del Pnrr altrimenti affidata finora solo ai partiti maggiori del Conte 2. Alla verifica dei numeri, se il governo verrà costituito in maniera stabile sapremo il peso e il ruolo che avranno i parlamentari di Italia Viva che si sono rivelati determinanti nella caduta del Conte2.

Mario Draghi, attese e timori

Il nome di Mario Draghi circolava da tempo ed è prevedibile che il famoso economista abbia già in tasca i nomi dei ministri e dei tecnici ai quali affidare le scelte decisive dei prossimi mesi, anzi giorni. Interverrà sul documento da presentare e trattare con la Commissione europea per poter usare in maniera tempestiva i fondi che arriveranno e non correre, come ha sottolineato il presidente Mattarella, «il rischio di perderli».

I tempi per il confronto con le parti sociali saranno perciò strettissimi e sarà decisivo capire come si comporrà la cabina di regia che dovrà gestire la realizzazione del Piano di ripresa.

Mattarella affida a Draghi la composizione di un «governo di alto profilo, che non debba identificarsi con alcuna formula politica». Il profilo tecnico, ad ogni modo, non vuol dire “asettico”, ma comporta scelte che saranno valutate politicamente dalla maggioranza parlamentare che si andrà a costituire.

Anche se la parola disturba alcuno, ci troviamo di fronte a un governo di guerra. Il termine lo ha evocato nuovamente Walter Ricciardi, consigliere del dimissionario ministro della Salute Roberto Speranza, con riferimento all’avanzare del virus nelle sue imprevedibili varianti, affermando che ci troviamo non nel 1945, con la vittoria assicurata degli alleati, ma nel 1941, cioè nell’anno più incerto.

Il nome di Draghi viene visto come l’ultima garanzia possibile per mantenere prestigio e dignità a livello europeo e internazionale. A seconda dei punti di vista, viene visto come il salvatore dell’Euro con la sua guida della Bce, seguita ora, dopo uno sbandamento iniziale, da Christine Lagarde. L’unico capace di ragionare con la Germania, attore forte della Ue. Persona di grande dirittura morale, con una formazione segnata dalla scuola dei gesuiti, nominato nel luglio 2020 come componente della Pontificia accademia delle scienze sociali.

Altri ricordano, invece, le sue scelte nelle privatizzazioni adottate in Italia con il crollo della “prima repubblica” nel 1992 e le posizioni di vertice assunte nella statunitense Goldman Sachs, probabilmente la più grande banca d’affari al mondo. E sempre con riferimento a Draghi, si ricorda la sua posizione nel 2011, da governatore entrante della Bce, che portò al commissariamento europeo dell’Italia con la nomina del governo tecnico guidato da Mario Monti.

Per restare al livello pragmatico, in conformità alla figura del presidente del consiglio dei ministri incaricato, è opportuno prestare attenzione al suo stringato ed efficace articolo pubblicato sul Financial Times il 25 marzo 2020 e considerato un caposaldo della nuova prospettiva di politica economica adottata dalla Ue di fronte ad una pandemia intesa come «tragedia umana di proporzioni potenzialmente bibliche» con inevitabile effetti recessivi.

Quel testo è stato inteso, già al suo apparire, come un programma di governo. Ora si vedrà se e come verrà declinato in concreto.

Nell’accettare, con riserva l’incarico dal capo dello Stato, Mario Draghi ha definito alla stampa le sfide da affrontare: «Vincere la pandemia, completare la campagna vaccinale, offrire risposte ai problemi quotidiani, rilanciare il Paese».

E a tal fine ha dichiarato che «abbiamo a disposizione le risorse straordinarie dell’Ue, abbiamo la possibilità di operare con uno sguardo attento alle future generazioni e alla coesione sociale. Con grande rispetto mi rivolgerò al Parlamento, espressione della sovranità popolare. Sono fiducioso che dal confronto con i partiti, con i gruppi parlamentari e le forze sociali emerga unità e capacità di dare una risposta responsabile».

 

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