Draghi da Biden in cerca di negoziati credibili per fermare la guerra

La Russia «non è un Golia invincibile». Stanziati notevoli aiuti militari per il governo di Kiev: la guerra che si annuncia di lunga durata. Ma secondo Draghi «la gente in Europa e in Italia vuole porre fine a questa macelleria»
Draghi e Biden White House, (AP Photo/Manuel Balce Ceneta)

Non ha avuto bisogno di interpreti, consacrazioni e riconoscimenti Mario Draghi nel suo viaggio lampo negli Usa per incontrare il presidente Joe Biden. Il presidente del consiglio italiano può vantare, infatti, un lungo curriculum a partire dal dottorato presso il Mit di Boston, sostenuto dal Nobel Modigliani, e la copertura di posizioni apicali non solo nelle istituzioni italiane ed europee ma anche nella grande banca d’affari statunitense Goldman Sachs.

Il deciso atlantismo di Draghi ha avuto una piena espressione nel discorso alle Camere con cui ha schierato l’Italia, senza se e senza ma, tra i Paesi che sostengono lo sforzo bellico dell’Ucraina nella risposta all’invasione russa. Da pochi giorni,inoltre, l’Italia ha preso il comando della missione della Nato in Iraq.

Mentre il suo volo aereo partiva da Roma, il ministero della Difesa ha messo in stato di allerta 600 soldati che andranno a dislocarsi ai confini dell’Ucraina, in Ungheria e Bulgaria, mentre altri sistemi d’arma sono destinati al governo di Kiev che, come ha rivelato il New York Times, può contare sulla collaborazione dell’intelligence statunitense che ha reso permesso di eliminare ben 12 generali delle forze armate russe.

Il sostegno militare occidentale avrebbe avuto i suoi effetti, come ha ribadito Draghi nella conferenza stampa che si è svolta l’11 maggio presso l’ambasciata italiana  a Washington.

Rispondendo a Mario De Pizzo del Tg1, il presidente del consiglio ha affermato che, dopo oltre 2 mesi dall’inizio delle ostilità, «la guerra ha cambiato fisionomia. Inizialmente era una guerra in cui si pensava ci fosse un Golia e un Davide. Quindi era una guerra essenzialmente di difesa disperata, sembrava anche non riuscire. Oggi il panorama si è completamente capovolto. Non dico che ci sia un Golia e un Davide, ma non c’è più un Golia. Quella che sembrava una potenza invincibile sul campo, e per quanto riguarda una guerra fatta con armi convenzionali, si è dimostrata una potenza non invincibile».

Una constatazione che si collega con i toni dimessi del discorso del presidente russo Putin alla parata del 9 maggio che ogni anno si svolge a Mosca per celebrare la vittoria sul nazismo. Per i vertici dei servizi segreti statunitensi, ascoltati in questi giorni al Senato Usa, la guerra sarà comunque di lunga durata, anche se ritengono “poco probabile” il ricorso di Putin alle armi nucleari «a meno che la Russia non si trovi di fronte ad una minaccia esistenziale».

E, difatti, Draghi ha affermato che la Russia non è una potenza invincibile,, se si resta nel  perimetro della “guerra fatta con armi convenzionali” che, a quanto pare, verranno fornite in maniera abbondante da Biden dopo il via libera del Congresso a 40 miliardi di dollari di aiuti militari destinati all’Ucraina.

Sulla distinzione tra armi difensive e offensive si è sviluppata una polemica in Italia da parte del leader del M5S Giuseppe Conte che ha chiesto, invano, una verifica di discussione in Parlamento prima del viaggio di Draghi negli Usa.

L’elenco delle armi inviate e in partenza per l’Ucraina è noto solo all’organo di vigilanza del Copasir, presieduto da Adolfo D’Urso di FdI, ma come ci dice il professor Maurizio Simoncelli di Iriad, in effetti la distinzione tra il tipo di armi corre su «una linea molto sottile, più politica che reale. Aerei con un ampio raggio d’azione, missili intercontinentali, portaerei potrebbero essere visti in tal senso (proiezione di forza armata a lunga distanza), ma la guerra è talmente imprevedibile (ruoli attaccante/attaccato, ad esempio) che mi sembra tale definizione non molto adeguata. Basta pensare alla cyberwarfare o all’uso di droni, nuove armi che sfuggono alle concezioni tradizionali dei conflitti».

La discussione parlamentare, assieme ai chiarimenti interni alla maggioranza, dovrà, quindi, riguardare la finalità della partecipazione italiana al sostegno militare richiesto dal presidente ucraino Zelenski. Si tratta di rispondere alla domanda che si è posto lo stesso Draghi circa l’obiettivo definito dalle parti per poter arrivare al tavolo del negoziato dove, a suo parere, devono sedere anche gli Usa oltre la Russia.

Draghi ha anche definito, nella risposta a Claudio Pagliara del Tg2, il profilo del possibile soggetto in grado di promuovere un vero negoziato di pace: «chi fa questo sforzo deve essere una persona, un Paese, delle Istituzioni che non cercano affermazioni di parte.  Non bisogna cercare di vincere qui, perché oltretutto se uno ci pensa un istante la vittoria non è definita. Che significa vincere? Per gli ucraini sicuramente è definita: significa respingere l’invasione. Ma per gli altri?».

Un concetto ribadito all’inizio della conferenza stampa: «questa pace deve essere la pace che vuole l’Ucraina, non una pace imposta né da un certo tipo di alleati né da altri». Lasciando perciò intendere che vi siano alleati non ben definiti interessati a raggiungere obiettivi diversi da quelli di Kiev.

Ad una domanda di Platero sulla difesa europea, o più precisamente sull’autonomia strategica europea, Draghi ha risposto di non averne parlato con Biden ma che sarebbe necessario «organizzare una conferenza di tutti gli Stati membri per razionalizzare la spesa militare, prima di cominciare a pensare ad aumentare la spesa militare», anche perché ha riconosciuto che «l’Europa spende più di 3 volte in spese militari di quanto spenda la Russia, quindi la prima conclusione è che c’è molta duplicazione». Una motivazione che, tra l’altro, è alla base della tesi contraria all’aumento delle spese militari che adrebbero invece razionalizzate e depurate dai costi eccessivi dovuti alla competizione dei Paesi europei interessati alle commesse internazionali.

Il resto della conferenza stampa ha toccato altri argomenti importanti legati alla guerra, come l’aumento dei costi dell’energia, la crisi economica e quella alimentare destinata a colpire i Paesi più fragili che dipendono dalla produzione di grano e mais di Russia e Ucraina. Il presidente del consiglio italiano ha detto, comunque, di non prevedere una recessione nell’anno corrente.

L’incontro alla Casa Bianca, come era nei piani, ha voluto suggellare il rapporto sempre più stretto dell’Italia e dell’Europa con gli Stati Uniti: «quello che è successo in Ucraina porterà un drastico cambiamento nell’Unione Europea. Siamo sempre stati vicini; ora saremo molto più vicini».

Si tratta ora di capire se, come e chi porterà avanti negoziati credibili per far cessare il fuoco. Su una cosa, di sicuro, Draghi ha rappresentato una volontà comune del vecchio continente al potente alleato posto al di là dell’Oceano Atlantico: «In Italia e in Europa la gente vuole mettere fine a questi massacri, a questa violenza, a questa macelleria».

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