Dov’è il vero business di Finmeccanica?

La vicenda degli elicotteri venduti all’India ha svelato un sistema di tangenti che governa il mondo delle armi. Rimangono gli interrogativi  sulla nostra politica estera che sceglie di investire più in droni, non solo per difendere il Paese ma per intervenire dove la sicurezza venga minacciata
Elicotteri da guerra

Dal Monte Paschi a Finmeccanica, la prossima scadenza elettorale mette a nudo i problemi italiani, conosciuti e rimossi da tempo, su un sistema finanziario e industriale che necessita di profonde riforme. Il “sistema tangenti” nel commercio internazionale di mezzi d’armamento non è certo prerogativa del grande gruppo italiano, sotto controllo pubblico. Finmeccanica ha visto un crescendo di figure di vertice sotto inchiesta fino all’arresto dell’amministratore delegato, Giuseppe Orsi, per peculato, concussione e corruzione.

Si trovano in carcere anche i due intermediari che hanno “agevolato” l’Agusta Westland, controllata da Finmeccanica, nella vendita di 12 elicotteri AW 101 al prezzo di 556 milioni di euro al governo indiano per la sua aeronautica militare. I fatti risalgono al 2008, ma gli effetti potrebbero essere dirompenti per tutta la strategia della grande azienda italiana che rischia di entrare nella lista nera dei fornitori del gigante asiatico.

Quello che dovrebbe far meditare non è solo la corruzione, che purtroppo ha toccato recentemente Finmeccanica anche per la fornitura dei filobus della Breda Menarini al comune di Roma, ma la direzione di marcia di un gruppo industriale che ha fatto dei sistemi sofisticati d’arma il proprio “core business”. Intricato e complesso il gioco di alleanze e competizione con gli altri grandi produttori che affollano le grandi fiere che si svolgono nel Paese patria del Mahatma Gandhi, maestro della non violenza.

Come sottolinea il portavoce della “Rete disarmo”, Francesco Vignarca, la stessa stampa specializzata non ha avuto pudore a dipingere la recente guerra in Libia nel 2011 come la possibilità di uno show in diretta delle migliori dotazioni dei Paesi coinvolti nell’azione del bombardamento di Tripoli. Il cielo del Paese nord africano si è prestato per mostrare ai probabili acquirenti la reale efficacia multiruolo dei vari caccia bombardieri e d’interdizione a disposizione delle aviazioni militari, a cominciare dalla Francia con i suoi caccia Rafale.

Anche l’Italia, come è noto, ha dato il proprio decisivo contributo, tanto che recentemente, come riporta il comunicato ufficiale del ministero della Difesa, «la Bandiera di guerra dell’Aeronautica militare è stata decorata con la Croce di Cavaliere dell’Ordine militare d’Italia per le capacità espresse durante la partecipazione all’operazione Odyssey Dawn, prima, e Unified Protector poi».

Soldi, soldati e strategie La “strana guerra” libica scivolata sulla coscienza collettiva con poche obiezioni,tra cui quella puntuale del nostro sito e della nostra rivista, era stata preceduta dall’attivismo del governo italiano nel ricercare un quadro organico di accordo per nuove commesse militari e barriere elettroniche antimigranti a favore del gruppo Finmeccanica. All’interno del gruppo di piazza Montegrappa, è cresciuta la presenza azionaria del Lybian Investment authority (Lia),cioè del fondo sovrano, passato dal controllo di Gheddafi a quello dei ribelli saliti al potere.

Forse anche per queste premesse ambigue, sta crescendo l’interesse verso le commesse militari come quella dei caccia bombardieri F35 della Lockeed Martin. Mai, prima di questi giorni, si è vista una conferenza stampa di “Rete disarmo” così affollata come quella tenuta il 12 febbraio presso la fondazione Lelio Basso. Le organizzazioni “pacifiste” hanno riportato, ancora una volta, i numeri noti su una scelta di investimento che comporterà un costo complessivo, di aggiornamento e manutenzione, pari a 52 miliardi di euro fino al 2040, con ridotti ritorni occupazionali e industriali.

La crisi di Finmeccanica non può non far insorgere qualche dubbio in più sull’intera operazione che si lega alla riforma della Difesa, approvata tra gli ultimi atti del governo tecnico che ha avuto un militare come titolare della Difesa. L’esodo programmato di decine di migliaia di quadri militari e la mancata conferma della ferma breve per molti giovani graduati, si spiegano, infatti, con la necessità di dirottare i fondi, spesi finora per il personale, verso nuove dotazioni tecnologiche capaci di operare in linea con una politica estera che richiede di intervenire non solo per la difesa dei confini, ma ovunque la nostra sicurezza sia minacciata. In questo senso si comprende il forte interesse del mondo della difesa verso la dotazione di droni armati: finora l’Italia possiede aerei senza pilota solo per la ricognizione.

Una scelta politica La configurazione del prossimo Parlamento potrebbe condurre,quindi, a riconsiderare il sistema di governo di Finmeccanica, solo se si rimetterà in discussione la politica estera che impone certe strategie industriali e finanziarie. Eclatante, in questo senso, la vicina Grecia dove ormai, secondo l’Unicef, ci sono 400 mila bimbi con seri problemi di malnutrizione, eppure nella dotazione di difesa della nazione ellenica c’è il doppio dei carri armati della Gran Bretagna, mentre i Paesi forti dell’Europa fanno pressioni per non sospendere gli acquisti di sommergibili ed elicotteri d’attacco prodotti proprio dalle aziende di queste nazioni.

L’Italia, quinto produttore d’armi sul pianeta, non ha davanti a sé un Paese ridotto allo stremo, ma una potenza crescente come l’India che tratta direttamente con il segretario di Stato statunitense la fornitura di armamenti e tecnologia nucleare. Forse si aprono scenari nuovi, ma ogni ipotetica conversione produttiva richiede tempi lunghi e programmazione adeguata. Per ora resta solo l’attesa.

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