Dottore, quanto costa?

Con la crisi economica anche l'accesso alle cure rischia di diventare un “privilegio” che non tutti nel nostro Paese possono permettersi. Cosa fare?
Foto di archivio, 21 maggio 2004 ©Dpa/Lapresse

"Prenda questi 50 euro per le sue analisi". Siamo in uno studio medico di un quartiere periferico di Roma: lui, un padre di famiglia, deve assolutamente farle quelle analisi, ma i soldi proprio non li ha. E così glieli dà il medico curante, insieme alla ricetta. Altro studio, quello di uno specialista. Lavora in un quartiere non proprio centrale. "Beh, sa, se mi appoggio ad una clinica importante devo stare alle loro regole. Come faccio ad accogliere anche chi non può pagare certe cifre?". Come quella mamma con diabete e scarsa funzionalità tiroidea in attesa del secondo figlio, che necessita di esami non rimborsati dal Servizio sanitario nazionale. "Siccome viene con l’impegnativa del medico… dunque vediamo… per la risonanza l’appuntamento è fra cinque mesi". Senza impegnativa, cioè pagando, il posto, che sembra funzioni a gettoni, pardon, a soldoni, è libero anche subito.

"Ogni individuo ha il diritto di accedere ai servizi sanitari che il suo stato di salute richiede. I servizi sanitari devono garantire eguale accesso a ognuno, senza discriminazioni sulla base delle risorse finanziarie, del luogo di residenza, del tipo di malattia o del momento di accesso al servizio". Bello quest’enunciato che fa parte dei quattordici diritti della Carta europea dei diritti del malato. Qualcuno riesce a spiegare come si conciliano situazioni simili a quelle descritte, che sono poi quelle che vivono la maggior parte degli italiani, con il diritto appena ricordato?

Crisi economica e salute

Se il nostro Paese è attraversato da una evidente crisi economica, se aumenta il precariato, i cassintegrati, quelli che perdono il posto di lavoro, quelli che non hanno mai cominciato ad averne uno, è altrettanto evidente – anche se non se ne parla ancora granché – che tutto ciò non può non avere dei risvolti importanti anche sul piano della salute. Pensiamo anche solo all’ansia di un padre di famiglia che sa che il suo posto di lavoro è a rischio; alla depressione di una persona nel pieno delle sue forze che non sa più come impiegare le sue lunghe giornate; all’angoscia di un giovane che vede impossibile realizzare il suo progetto di vita; allo stress di un dirigente d’azienda che deve decidere del futuro suo e di tante altre famiglie; alla prostrazione di una mamma di famiglia che non sa cosa dare da mangiare ai suoi figli… Basta dare un’occhiata agli studi effettuati dall’Organizzazione mondiale della sanità sui determinanti della salute per rendersi conto che quello che abbiamo detto finora ha già dati scientifici e numerici che lo dimostrano. Lo ha evidenziato anche uno studio diretto da Carles Muntaner del Centre for addiction and mental health canadese, secondo il quale, mentre avere la certezza di un posto fisso costituisce una sorta di elisir, viceversa un impiego temporaneo o part time, uno stipendio magro e incerto aumentano lo stato di ansia e il livello di stress di una persona, con conseguente manifestarsi di coronaropatie e cardiopatie, depressione, disordini d’ansia, ricorso all’uso di sostanze stupefacenti.

E così la povertà genera malattia e la malattia, a sua volta, aumenta la povertà, in un circolo vizioso dal quale è difficile uscire perché, appunto, curarsi ha i suoi costi. E non tutti possono affrontarli. Chi può pagare? "Sì, si percepisce proprio che c’è una grossa difficoltà – mi conferma la dott.ssa Laura Polidori, medico di base in un quartiere popolare di Roma – tant’è che la domanda più ricorrente, quando prescrivo delle analisi o dei farmaci è: ‘Dottore quanto mi costa’?. Esistono infatti delle fasce di popolazione che non sono affatto tutelate, e non mi riferisco ai cosiddetti esenti reddito che bene o male se la cavano perché non pagano i ticket; parlo dei precari o dei cassintegrati che magari nell’ultimo anno hanno lavorato e quindi presentato regolare denuncia dei redditi. Sono parecchi in questa situazione e devono pagare tutto, con ticket a volte salati". Quei ticket che, nati come strumento di regolazione della spesa, dal momento che la gratuità avrebbe potuto essere sorgente di sprechi, hanno finito per venire utilizzati per colmare i buchi di bilanci mal gestiti.

Come se la cava un medico in questi casi? "Bisogna stare bene attenti a prescrivere il farmaco a minor costo, puntare sui generici per lo più – mi risponde la dott.ssa Polidori -, ma qualche volta, purtroppo, succede che siano necessari anche quelli di fascia c (quelli che si pagano, ndr) e allora son guai. Non parliamo poi del caso in cui, come mi è successo l’altro ieri, una paziente potrebbe aver bisogno di presìdi che si pagano come i fermenti lattici. Le assicuro che è stato un grande dolore vedere che non era possibile per questa signora giovarsi di una cura efficace."

Medici condizionati, allora? "Certo stiamo diventando sempre più coscienti del nostro ruolo di amministratori del denaro pubblico. Sappiamo che quando eroghiamo una prestazione abbiamo a che fare con soldi che devono esser spesi a ragion veduta, per cui bisogna vagliare bene le priorità, cosa fare e cosa non fare", mi spiega la dottoressa.

Tra tac e risonanze

E, se è vero che per certi esami, come si diceva, bisogna aspettare mesi con liste d’attesa che non riescono ad accorciarsi, è anche vero che a volte si fa ricorso con troppa facilità ad esami diagnostici non sempre indispensabili. Non a caso Eugenio Picano, direttore dell’Istituto di fisiologia clinica del Cnr (Consiglio nazionale delle ricerche) a Pisa, parla addirittura di "obesità diagnostica" per definire questa tendenza ad eccedere, evidenziata pure dalla Federazione dei tecnici sanitari di radiologia medica secondo cui un esame su quattro fra i 50 milioni all’anno che in Italia sfruttano le radiazioni, sarebbe inutile. Un dato non irrilevante se pensiamo che il nostro sistema sanitario nazionale spende ogni anno in radiografie, tac, risonanze magnetiche ed altre tecniche radiologiche 4,5 miliardi di euro, evidentemente non tutti necessari. E con conseguenze talora negative se, come ancora ha affermato Picano, "uno studio scientifico recentemente ha dimostrato che il 2 per cento di tutti i tumori è probabilmente causato dagli esami di tomografia computerizzata. Ma, oramai, nella mancanza di fiducia che caratterizza la relazione medico paziente, spesso è proprio quest’ultimo che insiste per esami più approfonditi e d’altra parte il medico ci tiene a mettersi al sicuro da eventuali mancanze perseguibili".

Le cronicità

Investire ora per evitare la cronicizzazione poi sarebbe la ricetta indicata da alcuni per controllare la spesa sanitaria nel nostro Paese. In una Italia che invecchia, infatti, essa non potrà che crescere, tra disturbi cardiaci, polmonari, Alzheimer, depressione e quant’altro. Sarebbe richiesto proprio da chi ha una malattia cronica il 30 per cento delle visite specialistiche; senza considerare le giornate di lavoro perse e le pensioni di invalidità richieste. E quello della cronicità, all’insegna di una medicina orientata spesso più a curare che a guarire, non è un aspetto di secondaria importanza nel quadro generale delle malattie legate in qualche modo alla povertà. Secondo il Rapporto annuale sulle politiche della cronicità, quasi 23 milioni di italiani avrebbero difficoltà di accesso ai servizi socio-sanitari con conseguenze importanti: la crescita dei costi privati così come dei ricoveri; l’aumento delle complicanze della malattia; il peggioramento della qualità della vita; l’esaurimento delle energie della famiglia che si trova, spesso da sola, a farsi carico di situazioni complicate; la perdita del lavoro, tanto per chi è portatore di una malattia che si prolunga, quanto per un familiare che debba farsene carico. Di nuovo in moto il circolo vizioso di cui si parlava prima.

Attivarsi

Cosa fare? "Un aspetto importante sottolineato da più parti è quello della prevenzione. Pensi ad esempio alla possibilità per le donne dopo i 45 anni di effettuare mammografia e pap test gratis, così come è previsto da una legge apposita – è ancora la dott.ssa Polidori -. Spendiamo oggi e risparmiamo domani. Ma perché la prevenzione sia efficace occorre che si facciano delle campagne vere e proprie, e io ne vedo poche in giro". E poi sburocratizzare, mi si passi il termine, perché la burocrazia, come è stato rilevato dal 77 per cento delle associazioni che hanno partecipato al Rapporto sulle politiche della cronicità, rappresenta la principale criticità nell’accesso a certi farmaci o a determinate prestazioni sanitarie. Me lo conferma il caso di un amico residente nel Lazio, ma in cura presso una città del nord. Per potersi avvalere quindicinalmente di una puntura molto particolare ma necessaria, deve farsi un viaggetto di 300 chilometri. Motivo? Perché venga attivato a Roma un piano terapeutico approntato in Emilia passerebbero chissà quanti mesi.Ma la cura va fatta adesso. Paradossi che rendono complicata una situazione già complessa con una sanità a macchia di leopardo. E che vanno ad allargare la forbice tra chi può curarsi e chi no. Per questi ultimi potrebbero non bastare generosità, solidarietà, buon senso… che pure nel nostro Paese non mancano.

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