Dostoevskij e il tragico della vita

Le trame e i personaggi del più grande scrittore di tutti i tempi

Fëdor Dostoevskij (1821-1881) nacque a Mosca e morì a Pietroburgo. Più russo di così! L’autore dei Fratelli Karamazov e di tanti altri capolavori è uno dei più grandi scrittori di tutti i tempi. Per molti, anzi, Dostoevskij è il numero uno: solo il Tolstoj di Guerra e pace potrebbe contendere l’oscar letterario a Fëdor Michajlovic. Ma per mole dell’opera, varietà di trame e personaggi, rappresentatività rispetto a tutti i temi della grande cultura otto-novecentesca e per la passione, la forza di coinvolgimento del lettore sul piano stilistico-letterario, la statuetta dorata di un’immaginaria Hollywood dei libri va secondo noi al moscovita.

La sua giovinezza è come i suoi romanzi, drammatica e turbinosa. Secondo di 7 figli di un medico militare strambo e dispotico, nobilissimo ma duro e violento coi suoi contadini come a casa, Fëdor crebbe in un clima scosso e opprimente. Che esplose con la morte della madre, contraltare dolce al marito, e poi del padre, ucciso dai contadini ribelli. Fëdor ne uscì sconvolto e a 18 anni (1839) ebbe la prima crisi epilettica, male che lo affliggerà sempre.

Divenuto controvoglia ingegnere militare come avevano deciso i suoi, si trovò subito immerso nello stato contraddittorio e conflittuale che ne segnerà la vita e i libri. Buttò all’aria la carriera tecnico-militare e sposò la letteratura, riscuotendo subito successo di pubblico e critica col romanzo Povera gente (1846), sociale e psicologico. Nei 3 anni seguenti pubblicò Il sosia, romanzo su uno sdoppiamento psichico, e dei racconti: Romanzo in 9 lettere, Le notti bianche e Netocka Nezvanova, un ritratto femminile rimasto incompiuto.

Fin qui la prima parte, giovanile, della produzione. A questo punto vita e opera di Dostoevskij si interrompono traumaticamente. Arrestato per il suo impegno socialista (1849), è condannato a 4 anni di lavori forzati in Siberia e ad altri 6 di ferma militare coatta. In mezzo, la finta condanna a morte voluta dal sadico zar Nicola I, con la salita (vera) sul patibolo dello scrittore e l’arrivo improvviso (e inscenato) della grazia imperiale! Neanche a dirlo, l’epilessia e tutto il resto peggiorarono.

Anna Dostojewskaja
Anna Dostojewskaja

Scontata la condanna, dopo 10 anni da incubo e il matrimonio infelice con Marya Dmitrievna Isaeva, sposata durante i 6 anni da recluso-in-divisa, Fedor torna a una vita libera e un po’ più serena – allietata dalla nuova moglie, Anna Grigor’evna Snitkina, che lo affiancherà per il resto della vita – e sempre più produttiva sul piano letterario. Nel 1861 col fratello Michail, pure lui scrittore, fonderà la rivista Il Tempo e dal ‘73 dirigerà Il cittadino, dove pubblicherà racconti e romanzi a puntate.

Ma ciò che più conta nella biografia di Dostoevskij e nel contributo inestimabile da lui dato alla letteratura mondiale e allo spirito dell’uomo già moderno, quindi alla nostra cultura di oggi, è la sfilza di capolavori che egli infila uno dopo l’altro nel ventennio più maturo e produttivo della sua carriera, dal 1861 al 1881, anno della morte, a Pietroburgo, accanto all’amata moglie Anna.

Anzitutto le autobiografiche Memorie dalla casa dei morti (1860-61), che per come descrivono l’inferno dei bagni penali zaristi anticipano le pagine più sconvolgenti del Solgenitsin dei Gulag staliniani. Lo stesso anno appare Umiliati e offesi, un “romanzo d’appendice” (apparente) che ritrae con aspro realismo il declino della nobiltà russa fin de siècle.

Dal 1864 al ’66 è la volta di 3 titoli immortali, Memorie dal sottosuolo, interessante saggio più che romanzo, con l’autore alle prese coi temi forti dell’800 e non solo: positivismo, guerre, Napoleone, sofferenza, individuo, superomismo e molto altro; Il giocatore, altra storia autobiografica di discesa e risalita dagli inferi (sarà Anna a guarire il marito dal vizio ludico) e, infine, un altro picco come Delitto e castigo, si può dire il primo esperimento di “falso giallo” della letteratura universale.

Negli ultimi 12 anni Dostoevskij ci dà i capolavori super, cioè L’idiota (1869), I demoni (1871) e I fratelli Karamazov (1880), tanto alti e profondi (2 attributi contraddittori che perciò sono perfetti per il loro autore!), tanto celebri e consacrati da imporsi da sempre nell’immaginazione anche di chi non li ha letti e non li leggerà. Perché Fedor vi rappresenta, come nessun altro, il tragico e il sublime della vita e dell’uomo, illuminato da qualcuno che però lui non vede: Cristo.

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«Bisogna prendere [la dipendenza dal gioco di Fedor] come parte della sua natura. Questa squilibrata, ardente, natura da artista».
La moglie, Anna Grigor’evna Dostoevskaja

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