Dora, una vittima

La nuova vita che aveva imbroccato non sembrava la rendesse felice. Storia di una madre che i quattro figli non avevano reso madre.
Illustrazione di Valerio Spinelli

C’era anche Dora alla festa, così ricostruita che non era facile riconoscerla. Altro colore dei capelli, molto dimagrita. Sempre elegante e di belle maniere. Abbiamo cominciato a chiacchierare in terrazza. La ascoltavo, ma ero distratto dal suo continuo mettersi in posa, come se degli specchi invisibili o delle videocamere la riprendessero. Mi raccontava ciò che già sapevo, che aveva lasciato marito e figli per un grande amore.

«L’amore di Giulio è stato la mia liberazione. Ero stanca di essere madre, di correre alle scuole per i figli. Ero stanca di preparare feste di compleanno e visite ai parenti. Non sono nata per morire in una famiglia. Mi ha aiutato il terapeuta. Ho speso una bella cifra, ma è stato lui a rimettermi sul binario della mia vita, è stato lui a farmi vedere che potevo ricominciare una vita tutta mia. Lui mi ha fatto incontrare Giulio.

«Sì, certo, causavo infelicità ad altri ma, stando bene io, avrei potuto fare molto di più per i figli. Le due grandi erano già abbastanza cresciute da potersi anche rendere indipendenti. Per i due piccoli, che forse avevano più bisogno di me, decidemmo con il padre che sarebbero rimasti a casa con lui, per continuare la vita tra le loro cose, i loro giochi, i loro amici… senza scosse, e io mi sarei fatta viva tutte le volte che fosse stato necessario».

Ascoltavo Dora, seguivo il fumo agitato delle sue sigarette. In terrazza si stava bene. Era una sera di agosto e il venticello non mancava, al punto tale che resistevano soltanto le candele dentro alcune improvvisate e artistiche lanterne fatte dai padroni di casa con fil di ferro e vetri colorati.

Mi trovavo di fronte ad una specie di “resuscitata”. Solo che la nuova vita che Dora aveva imbroccato non sembrava la rendesse felice. Non mi ha parlato dei danni economici provocati alla famiglia del marito, di tanti eccessi che le erano stati sempre perdonati.

«Alessandra ti ha detto che anche con Giulio è finita? Lui è tornato nella sua famiglia, da dove in realtà non era mai venuto via. Il suo grande amore mi aveva reso capace di sopportare di essere il numero due. Gli sono grata perché mi ha dato quello di cui avevo bisogno. Certo, gli anni passano e le alternative si riducono».

Continuavo a non sapere cosa dire. Certe situazioni ti paralizzano. Non vedi una logica, non vedi uno sbocco.

«Hai visto che stasera c’è anche Marco? Basterebbe un piccolo cenno e Marco ricadrebbe fra le mie braccia. Lui è così, ostinatamente fedele, eternamente innamorato. È tutto per i figli. Da una parte questo mi dà tranquillità. D’altra parte mi sentirei meglio se lui si mettesse con qualcun’altra. Anche lui dovrebbe sentire che ha dei diritti, non solo doveri.

«All’inizio della separazione ci incontravamo spesso tra noi e con i figli. Poi ho visto che stava diventando artificiale per tutti. Le visite le abbiamo diradate. I figli crescono bene. In sostanza ci stiamo elegantemente allontanando. Le figlie sono avvelenate contro di me. I figli non dicono niente, hanno sofferto ma sono tranquilli. Marco si comporta da vero signore, non oscurando mai la figura della madre nel cuore dei figli. Forse mi considerano una malata e quindi un caso».

È arrivata l’ora della torta con le candeline. Alessandra accanto al marito si preparava a spegnerle.

Tra “tanti auguri” cantati e urlati anche da voci stonate, applausi, scoppi di spumante, ero profondamente rattristato da Dora. Mi sembrava una cieca che descrive colori che non ha mai visto. Una madre che i quattro figli non avevano reso madre. E diceva di essere stata aiutata da un terapeuta a diventare veramente donna.

A cogliere la mia tristezza è stato proprio Marco. Quando sì è fatta l’ora di andare via, lui mi ha fatto capire che, se non avessi avuto un mezzo, mi avrebbe accompagnato a casa per fare due chiacchiere.

«Ho visto che parlavi con Dora. Che tragedia! Devo fare delle continue correzioni ai giudizi dei figli. Quello che li sconcerta è il suo egoismo. Non la vogliono neanche vedere. Immagina che mia figlia Giustina vuole diventare psicoterapeuta per capire cosa può succedere nella testa della gente. Non permetto che commiserino la madre. Certo, amo i miei figli e sono per loro un punto sicuro. È paradossale, ma anche la tragedia di Dora mi ha scosso per essere più padre. Tante volte mi commuovo a vedere come crescono e si formano nella pace nonostante le tempeste». E anche in macchina quella sera Marco si è commosso.

«Scusami, non piango su di me, piango sulla vita. Sulla sua incomprensibilità, e penso ai miei figli che entrano in una società senza punti fermi. Una società che produce vittime. Mia moglie, su consiglio di un’amica, era andata dal terapeuta in un momento di prostrazione fisica e psicologica. Dopo qualche tempo ho visto che si curava di più, metteva pantaloni sempre più attillati. E ogni volta andava dal terapeuta come a un incontro galante. Ho saputo che purtroppo questo professionista adescava le clienti. Altro che aiuto! E poi quel Giulio era un suo amico. Si passavano le prede.

«Insomma, povera Dora, è stata vittima di disgraziati. Non se n’è ancora resa conto. Se non avessi avuto delle certezze che danno senso alla mia vita, non sarei stato capace di perdonare. Invece spero che anche Dora ritrovi la pace che noi abbiamo. Ogni sera i figli pregano per la mamma e chiedono che sia felice. Il più piccolo, l’altra sera ci ha fatto venire la pelle d’oca quando ha concluso la preghiera dicendo: “Gesù, fai sentire alla mamma la gratitudine per averci fatto nascere”».

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