Donne del novecento

“La vedova allegra”. Musica di Franz Lehár. Roma, Teatro Brancaccio – “Lady in the dark”. Musica di Kurt Weill. Teatro dell’Opera. È davvero l'”operetta”, la sorellastra dell’opera lirica, un prodotto leggero di pura evasione, una superficiale cascata da Belle Èpoque? Vengono dubbi in proposito, ascoltando – e vedendo – la celebre Vedova di Lehár, nata nel 1905, con la storia del conte Danilo che sposa, dopo i consueti giri di valzer del cuore, la bella e ricca Anna Glavari, risollevando le sorti del sentimento… e delle finanze. Nella Vedova tutto è spumeggiante come dev’essere in un regno di fiaba, con quella maliziosità sorniona che oggi fa solo sorridere e coglie della vita il lato disimpegnato. Motore di tutto è lei, la vedova (“scaltra”, avrebbe detto Goldoni), cioè l’eterno femminino che in realtà dirige i cuori degli uomini, dispensando quella tenerezza di cui c’è bisogno nel crepuscolo dolceamaro della fine di un’epoca, di cui si ha il presentimento. Sul ritmo di valzer, romanze e duetti, di una recitazione spigliata e di (innocui) cancan parigini, la favoletta musicale scende spiritosa e ingenua fra gli spettatori, seminando ancora una ventata di riposante freschezza. L’edizione romana, affidata a Gino Landi (regia e coreografia), William Orlandi (scene e costumi) e diretta dal giovane Christopher Franklin, pur suscitando alcune riserve (non tutte le gag del bravo Leo Gullotta erano ad hoc, un certo fare troppo “televisivo”…) ha entusiasmato comunque il pubblico. Buona la compagnia di canto (Daniela Mazzuccato, protagonista, Francesco Grollo, un Danilo di fresca voce e ancora “fresca” scena), ed una direzione svelta, vaporosa, con l’orchestra sul palco, una scelta simpatica. Coro e corpo di ballo (specie gli acrobati) gioiosamente convinti, ed un ritmo Altra cosa, invece, la Signora nelle tenebre (Broadway, 1941), un unicum nella storia del teatro musicale: né opera né del tutto “commedia musicale”, la Lady soffre di diseguaglianze: musica molto bella, ma troppo “parlato” nel primo atto. Certo, la satira pungente sulla moda della psicanalisi ha fatto il suo tempo. Ma Lisa Elliott, direttrice della rivista di moda Allure, prigioniera del suo volere- non-volere, dell’incertezza fra essere e apparire, non è forse simbolo della donna d’oggi e delle sue contraddizioni? Weill inventa una musica “americana”, melodiosa, ritmica, agile; privilegiando batteria, sassofoni e clarinetti abilmente sottolineati dalla direzione spigliata di Steven Mercurio. Raina Kabaiwanska “è” la Lady, voce e scena magnifica: punto d’attrazione del travolgente musical, in cui fantasia, follia ed energia si dispiegano nelle belle scene alla Magritte (Lauro Crisman) nella disinvolta coreografia (Micha van Hoecke) e nei costumi anni Trenta di Elena Cicorella. La sapida regia di Giorgio Marini condisce la Lady di un’acidula mistura di eleganza e spettacolo circense che piace al pubblico. Insieme alla suadente bellezza delle canzoni.

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