Ditelo con i fiori

Fino al 20 giugno a Forlì una rassegna di grande successo. La lingua dei fiori dal Seicento a Van Gogh e oltre.
Per una volta, tralasciamo le celebri Ninfee di Monet, troppo note per riparlarne, anche se l’occasione di questa mostra lo richiederebbe. Nel viaggio dentro il mondo floreale c’è una moltitudine di artisti che l’hanno interpretato, ossia vissuto, amato. Si potrebbe scrivere una storia dell’arte europea soltanto indagando questo soggetto e come esso sia stato reso dai differenti autori.

 

È un piacere passare da un pittore all’altro, sembra di camminare dentro una serra di piante preziose, anzi, di personalità raffinate. Paul Gauguin, ad esempio. Le sue Rose e astri di Cina sopra una spartito musicale (1876) hanno una carnosità che si immette tra petali azzurri e bianchi con decisa eleganza, proprio come fosse una musica salottiera di fine Ottocento. Questa carnosità diventa palpabile addirittura in Van Gogh, che inventa un Vaso con fiori diversi, gialli soprattutto, fra cui incunea due papaveri rosso sangue. Non è una composizione spontanea. Si capisce che l’inquieto Vincent ha preparato appositamente un vaso, l’ha colmato di fiori scelti, s’è imbevuto di colori e di profumi e ne ha fissato sulla tela la vita, come sempre usa fare, si direbbe in modo esplosivo.

 

È certo tutt’altra cosa dalla tela di Boldini Braccio con vaso di fiori (1910). Il guizzo nervoso dell’artista si inventa un braccio di femme fatale che rapida e languida raccoglie un mazzo di fiori sparsi a terra. C’è un luce diafana a dire l’aria vaporosa e un poco irreale della scena, con quel soffio da belle époque che carica il dipinto di una ricercata artificiosità. Ben lontana, ad esempio, dal romantico Ricordo di un dolore di Pellizza da Volpedo: una ragazza mesta contempla il fiore disseccato dentro al suo libro, voce di una sofferenza – un addio, un morte, una nostalgia? – mai del tutto superata. Pellizza usa bianchi e blu a descrivere la donna, ma è quel piccolo brano floreale, il vero protagonista del quadro, a delinearne tutto il sentimento.

 

A volte i fiori servono da sfondo ornamentale o sentimentale, si direbbe che “accompagnano” l’espressione degli animi. Se la Flora del Piccio è una bella ragazza luminosa coronata di fiori dati a tinte sfumate, il Ritratto di Joséphine Bonaparte che come una dea antica incorona il mirto sacro a Venere dell’Appiani ci riporta in una atmosfera neoclassica. Qui il fiore è ornamento ma anche simbolo, elemento caduco ma pure destinato a simboleggiare l’eternità di un sentimento, l’amore, nel nostro caso (al grande Napoleone?).

 

Ma è il barocco l’età che diffonde il culto floreale allo stato puro, cioè di ammirazione per la varietà dei fiori, il loro colore, il profumo, la vitalità. Non si contano le opere sacre o profane, oppure i quadri con composizioni floreali tout court che affollano chiese palazzi ville, impegnando artisti grandi e piccini. C’è addirittura chi è stato chiamato, a Roma, ai tempi del Caravaggio, “Mario dei fiori – ne esiste ancora la via, nella capitale – perché questo era il soggetto preferito delle sue tele. C’è una esuberanza gioiosa, un colorare fresco e palpabile, un indagare petali e steli che fa di queste opere, di Mario ma anche dello Strozzi, del Dolci, dei mille maestri fiamminghi, un repertorio infinito di amore alla natura . In fondo, vedere un fiore dà sempre gioia, suscita una sensazione, perché no?, di festa. Basta andare in mostra e lo si può sperimentare.

 

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