Dimitris Papaioannou e il mito del Minotauro

Un viaggio dal caos alla metamorfosi del sogno, dal buio alla luce di un’alba nuova, attraverso il potente linguaggio scenico dell’artista greco. In scena al Teatro Argentina di Roma.
Papaioannou
ph. Julian Mommert

Un successo internazionale accompagna da alcuni anni ogni creazione di Dimitris Papaioannou. Non fa eccezione l’ultimo spettacolo Transverse Orientation, approdato anche a Roma, al Teatro Argentina (corealizzazione del Teatro di Roma con il Festival Equilibrio), prima volta nella capitale per il regista, coreografo e disegnatore greco, classe 1964, formatosi in Belle Arti. Artista a tutto tondo nei linguaggi performativi, come pochi possiede l’ingegno di ideare potenti affreschi di visionaria bellezza su una scena dove teatro, danza, suono e immagine trovano un prodigioso equilibrio.

La sua fantasia attinge all’Arte Povera, all’immaginario barocco, alla mitologia, al cinema, alla letteratura e alla sterminata biblioteca visiva della storia antica e moderna, con al centro il mito greco. Il suo teatro fuori da ogni etichetta, è denso di riferimenti e simboli che richiamano archetipi universali. Per questo, e per tutto quello che può suscitare in ciascuno, i suoi spettacoli emozionano. In Transverse Orientation basterebbe l’ultima scena di un orizzonte infinito con cui si chiude lo spettacolo: un paesaggio acquatico, che è alba o tramonto, creatosi sotto i nostri occhi dalle pedane rumorosamente divelte e accatastate dagli stessi performer, fino a formare due montagne. Un uomo, con un secchio e uno straccio, lentamente cerca di asciugare l’acqua, mentre un altro, camminando sulle pedane rocciose, si avvia verso la porta laterale della grande parete frontale ed esce lanciando un ultimo sguardo su quello scenario. Nell’emozionante silenzio che regna, rimane la silhouette dell’uomo immobile, di spalle, mentre la luce lentamente si spegne su quell’idilliaco universo. Forse un altro pianeta. Nelle quasi due ore che precedono quest’ultima scena, si aprono molteplici suggestioni evocate dal mito del Minotauro. Il toro è ricostruito a grandezza naturale e fatto muovere dagli stessi performer simulando zampe e muscoli, riproducendo la lingua con un semplice movimento della mano, domandolo, assecondandone la natura scalciante, carezzandolo e abbeverandolo a un secchio. A turno alcuni danzatori indossano una testa di toro con le corna, altre figure entrano ed escono da una porta con scalini come se si provenisse e si andasse in mondi ed epoche diverse fino alla nostra. Sempre da quell’uscio fuoriescono minacciosi e inarrestabili, anche enormi blocchi di pietra con i quali innalzare e far crollare muri e fortezze, sopra i quali ruotare stando in equilibrio.

Tutta la scena è uno spazio mentale, onirico, un campo di battaglia che, sulla musica barocca di Vivaldi appena accennata, accoglie la leggerezza magrittiana di omini con un palloncino al posto della testa, tutti indaffarati con scale aperte e chiuse, dove salire per aggiustare un neon intermittente collocato sulla parete come se fosse l’occhio di un dio che osserva dall’alto. Il resto è un susseguirsi di corpi che danno forma a sequenze plastiche e pittoriche: una Venere di Botticelli dentro una vasca zampillante d’acqua, e una partoriente Madonna con Bambino di fattura rinascimentale; corpi attorcigliati simili a mostriciattoli alla Jeronimus Bosch, che avanzano a quattro zampe tenendosi alle caviglie. E ancora figurazioni che rimandano al Ratto d’Europa o a Pasifae, a un uomo-sirena boccheggiante emerso dall’intrecciare le gambe e le lunghe scarpe, e spruzzato d’acqua; ad altri esseri ibridi, creature umane o deformi. C’è molto altro nel surreale susseguirsi di Transverse Orientation, un viaggio dal caos alla metamorfosi del sogno, dal buio alla luce di un mondo nuovo. Non c’è un racconto esplicito, ma un flusso d’arte di azioni poetiche, misteriose, divertenti, fantasiose, che annullano il tempo e lo spazio mostrandoci lo scorrere della vita. Come solo Papaioannou sa fare.

“Transverse Orientation” ideato e diretto da Dimitris Papaioannou, con Damiano Ottavio Bigi, Šuka Horn, Jan Möllmer, Breanna O’Mara, Tina Papanikolaou, Łukasz Przytarski, Christos Strinopoulos, Michalis Theophanous. musica Antonio Vivaldi, scenografia Tina Tzoka, Loukas Bakas, composizione e progettazione sonora Coti K., costumi Aggelos Mendis, collaborazione al disegno luci Stephanos Droussiotis, sculture, oggetti di scena, costruzioni speciali Nectarios Dionysatos, invenzioni meccaniche Dimitris Korres. Al Teatro Argentina di Roma fino al 31 gennaio 2022.

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