“Digito” ergo sum?

Internet e dintorni rappresentano l'incubatore delle paure del nuovo e del futuro. Per il terzo appuntamento con il libro "Labirinti familiari" di Città Nuova editrice, un'analisi ad ampio raggio del fenomeno
Labirinti familiari

Il rifugiarsi nel rapporto più gestibile, come quello virtuale, in realtà nasconde spesso una grande sofferenza. Una sofferenza silenziosa e poco consapevole, oppure una grande insicurezza che impedisce di incontrare l’altro e di correre il rischio dell’incerto. Un’analisi accurata delle due autrici di Labirinti familiari, Daniela Maria Augello e Antonella Spanò ci aiutano meglio ad entrare nel problema e a valutarne le conseguenze ad ampio raggio.
 

 

«Jerry sta incollato davanti al PC, in trance di fronte alla consolle della play-station, e se arriva un messaggio risponde istantaneamente, anche se siamo a tavola. La sua compagna di classe, quella che a lui piace, ha avuto già tre fidanzati. Quell’altro suo amico sembra aver deciso di diventare una cartina geografica con tutti i tatuaggi che si fa… Ma, secondo te, le prediche che gli facciamo avranno mai un effetto?».

«Lo so Mario, anch’io sono molto preoccupata. Vivo con la paura che qualcuno un giorno mi venga a dire che si fa le canne o che beve in discoteca. Ma cosa dovremmo fare? Il mondo corre veloce. Molliamo?».

 

Internet offre tanti vantaggi. Immaginate. Potete inventare il nome che volete (quello che viene definito il nickname), potete dire di voi quello che desiderate, diversamente da quelle informazioni che consegniamo agli altri mentre veniamo osservati. Non essendo facilmente riconoscibili, l’inibizione viene meno, perché si è schermati dal mezzo telematico. E se vi stancate di chattare, basta interrompere la connessione!

Molte conoscenze oggi vengono fatte tramite internet. Tutto avviene in tempi brevi. Contemporaneamente si possono conoscere più persone.

Il fenomeno Facebook insegna. Milioni di persone scambiano opinioni su argomenti di interesse comune. Altri si rincontrano dopo anni. È un social network, una grande vetrina virtuale in cui ci si può iscrivere ed esporre il proprio profilo (generalità, hobby, letture preferite, ecc.). Su Facebook sono registrati anche personaggi tra i più diversi: vip, politici, religiosi, e tutti cercano di farsi nuovi amici. Quanto più è grande il numero degli amici, tanto più si è “in”.

La percezione del tempo di chi sta al PC si modifica. La propria identità entra nel mondo virtuale consentendo di scegliere se presentarsi con un’immagine falsata o come si è nella realtà. Naturalmente, tramite internet, molte persone che vogliono confrontarsi su argomenti anche molto intimi, possono trovare una possibilità di confronto. Parlare della propria omosessualità, ad esempio, è più facile perché ci si sente più liberi di farlo, lontani dal giudizio e dall’incomprensione. Parecchie persone che sono impossibilitate a spostarsi da casa, possono “incontrare” comunque qualcuno, quasi come se fosse dentro le mura domestiche.

Quando l’occasione di incontro viene agevolata non possiamo che essere soddisfatti, perché il mezzo telematico ha avuto la funzione di facilitatore. Quando il mezzo si sostituisce, invece, al rapporto umano, allora ci rendiamo conto che la persona corre il rischio dell’alienazione e della depressione, per i contatti sfiorati ma non avuti, per la propria identità esposta, ma non realmente conosciuta. Quando ci si abitua ai tempi di una relazione via internet, inoltre, ci si può disabituare ai contatti umani reali, quelli che non possiamo interrompere spegnendo il PC.

Queste nuove realtà relazionali sono oggetto di interesse. Se ne discute, si cerca di capire cosa accade. Al telegiornale sentiamo a volte notizie stravaganti: la ragazzina a cui viene la tendinite perché ha mandato troppi sms, la coetanea d’oltreoceano che riesce a inviare un sms ogni due minuti, il bambino giapponese che sviene per il numero di ore che ha trascorso davanti al PC, qualche giovane che ammette di rimanere collegato via internet per giorni interi.

Dobbiamo chiederci perché oggi si verificano questi eventi.


(…) Tra un uso ponderato e intelligente dei mezzi di comunicazione e la loro invasione nella nostra vita quale differenza c’è?

Relativamente all’identità della persona, più falle esistenziali si sperimentano, più spazio si lascia a una realtà altra, che possiamo controllare e modificare a nostro piacimento. Se nella vita quotidiana non riesco a sentirmi potente, cercherò di ottenere questa sensazione in modo diverso, ad esempio dissimulando la mia vita su internet o facendo giochi di ruolo. Second Life è un caso emblematico di come questo bisogno di riscatto diventi “realtà virtuale”. È come avere una vita parallela, nella quale il mio aspetto, il mio nome, la mia professione sono quelli che decido io, e attraverso questa identità interagisco con altri sé immaginari, posso acquistare la casa che desidero, posso viaggiare o diventare Presidente della repubblica!

 

Laddove c’è un vuoto, ecco che si cerca di colmarlo e quando l’alienazione è più severa, si arrivano a confondere altri temi, come la sessualità, che non può prescindere dal contatto corporeo, con la realtà virtuale. Pornografia, cyber-sesso, voyeurismo, prendono il sopravvento. Il terreno su cui attecchiscono è un’immensa solitudine, dove non affiora la difficoltà, ma non affiora neanche il calore. E dire che sembriamo così esperti in temi di sessualità… In realtà celiamo spesso dubbi, insicurezze, false convinzioni e una difficoltà a relazionarci non solo con l’altro, ma prima di tutto con noi stessi e con il nostro corpo. La realtà virtuale facilita anche in questo. Consente di ottenere una veloce, anche se fatua, soddisfazione. Ma nell’era dell’incontentabilità è meglio che niente.

 

Ma come viviamo il contatto con queste realtà che ci sembrano così lontane e minacciose? Quale preoccupazione suscita internet? Come reagiamo ai temi della convivenza, della sessualità, dell’omosessualità? Cosa pensiamo quando ci sentiamo richiedere da nostro/a figlio/a se può fare un tatuaggio, se può fare la chirurgia per avere un seno più prorompente, o se il suo desiderio per il futuro è diventare velina o calciatore? Che ruolo ha la famiglia in questo panorama?

Come genitori spesso rimaniamo disorientati, perché impauriti da ciò che non conosciamo. Di fronte a una comunità di coetanei che utilizza canali che “sfuggono” al controllo, possiamo sentirci con poche possibilità di intervento. Come entrare nei meandri di un mondo così diverso da noi?

 

Annalisa, madre di due figli, il maggiore ha 18 anni e la minore 15, racconta di avere avuto un putiferio in famiglia perché ha scoperto che la figlia doveva incontrare un uomo conosciuto su internet. I genitori adottano un intervento repressivo, ma le viene anche consigliato dallo psicologo di “aprirsi” al mondo di internet e di avvicinarsi alla figlia, collegandosi insieme sul web e magari chiedendole come funziona la sua rete di amicizie. Per Annalisa l’idea è impensabile. La spaventa troppo, la confonde. Le è più facile dire alla figlia che quello che fa è sbagliato, ma non riesce a trovare in questa dinamica un motivo

di complicità con lei.

 

Ognuno di noi reagisce alla paura in modo diverso. In qualche modo la paura è funzionale, perché ci avverte di un pericolo, ma non sempre la fuga è la soluzione migliore. (…) Un’altra variabile che non va ignorata, e che influisce negativamente sul clima familiare, è certamente la precarietà a livello economico. Come vediamo, i ruoli all’interno della famiglia sono cambiati: la donna lavora e, oltre ad avere ottenuto in questo modo la sua realizzazione, è anche coinvolta nel “procacciamento” dei beni materiali. Il ruolo di madre e “custode del focolare” va conciliato al ruolo rivestito nel mondo esterno.

(…) Una ricerca del Censis del 2003, sulle «paure dei genitori che hanno figli», fornisce dati interessanti: morte per incidente stradale, uso di droghe, frequentazione di cattive compagnie, malattie, pedofilia, sono, in ordine decrescente, le principali paure di un genitore (cf. Censis 2003). Il 65% dei genitori temeva per il futuro economico dei propri figli, e il 65% dei genitori aveva paura di essere lasciati soli, come famiglia, nei momenti di difficoltà.

Oggi ci saranno dei cambiamenti in queste paure, orientate e modificate dai fatti di cronaca. Già nel 2008 le indagini Censis si sono orientate a comprendere come il crack economico mondiale abbia influito sulla percezione della paura, rilevando infatti un 71% di persone che temeva di non poter mantenere lo stesso tenore di vita, un 62% che temeva di non poter far fronte alle cure mediche, il 60% che temeva di perdere i risparmi e così via… (cf. Censis 2008).Qualunque sia la paura che ci portiamo dentro, al di là delle statistiche, quando sentiamo che il terreno sul quale camminiamo è minato, quando non riusciamo a guardare al di là, e a vedere nel futuro le possibilità farsi spazio, si soffre molto. Cosa fare?

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