Diario di uno scrittore

Si sgranano, come preghiere su un rosario, le tappe della vita dello scrittore russo Fëdor Michailovic Dostoevskij. Tappe per lo più tetre e dolorose, inframmezzate da lampi di luce così abbagliante. Lui, l’artista sofferente, che s’è avventurato nei recessi più torbidi dell’anima umana. Per ricercare là, con febbricitante devozione, la verità. E raccontarla in memorabili romanzi. L’anima umana è un mistero che deve essere svelato – diceva lui -; se passi tutta la vita a cercare di risolverlo, non pensare d’aver sprecato il tuo tempo. Le tappe, dicevamo. La prima, a 15 anni: muore sua madre, minata da una vita infelice e da una tisi galoppante. A lei il giovane Fëdor era devotamente affezionato. Rimane con il padre: un possidente terriero collerico e brutale. Che viene barbaramente ucciso dai suoi contadini, esasperati dalle continue angherie. Nasce nel cuore di Fëdor la domanda determinante: perché la malvagità umana? S’infiamma per un’idea che illumina come fiaccola lo stantio orizzonte russo: il socialismo utopico. Sogna – di più – crede fermamente, nella fratellanza universale, nella nascita d’una società d’uguali, senza classi. Viene arrestato per aver partecipato ad un gruppo rivoluzionario. È condannato a morte. Portato di fronte al plotone d’esecuzione. I fucili puntati. Si snocciolano gli ultimi secondi di vita. Fra poco saremo tutti con Cristo pensa. Poi la frase dell’ufficiale: Si tratta d’uno scherzo! Lo zar, nella sua benevolenza, ha concesso la grazia. E l’ha tramutata in quattro anni di lavori forzati in Siberia. Per Fëdor inizia una nuova vita. A stretto contatto con galeotti violenti – come mai successe ad altri grandi scrittori – inizia a scoprire nuove prospettive, ad addentrarsi ancor più negli oscuri meandri dell’anima umana. Nel viaggio verso la Siberia una donna gli regala una Bibbia. La legge. Ed ha una forte conversione religiosa: Penso che non ci sia niente di più bello, profondo e perfetto di Cristo; Se anche mi dimostrassero che Cristo è al di fuori della verità e la verità è al di fuori di Cristo, io preferirei stare con Cristo piuttosto che con la verità. Poi, seguono sei anni di confino, arruolato forzato, sempre in Siberia. S’innamora perdutamente di Maria. Una donna difficile, malata di tubercolosi; una donna eccitante, ma squilibrata. Si sposano. Ne vien fuori un matrimonio penosamente infelice. Lui la ama; ma non si può dire altrettanto di lei. Il matrimonio lo riduce a una avvilente controfigura: è totalmente in balia della moglie esasperante. Dostoevskij continua a innamorarsi di donne diaboliche: squilibrate e irresistibili allo stesso tempo; donne che lo tormentano e lo attraggono; esigenti e affascinanti; avide ed egoiste, che lo umiliano e lo rendono continuamente infelice. Lui si crogiola in questo caos affettivo, senza riuscire a vedere via d’uscita. L’attrazione per questo tipo di donne, nasce dal suo straripante amore per le cose estreme? Forse sì. Iniziano le crisi di epilessia, che lo riduco malamente e gli impediscono per giorni di lavorare. Per far fronte alla disperata situazione economica si getta a capofitto nel gioco d’azzardo. Il gioco lo attrae e ossessiona: diventa una malattia. Le perdite sono continue. Contribuiscono ad aumentare la sua angoscia e il suo avvilimento. Poi, nel giro di sei mesi: muore la moglie Maria; muore l’amato fratello (e lui si fa carico dei suoi debiti e di mantenere la sua famiglia); muore Apollon, un suo vicinissimo amico, che definiva l’uomo più autenticamente russo. Nella sofferenza trova ispirazione: durante i momenti estremi della vita viene fuori la verità. Traduce la sua angoscia in sguardo visionario, in ispirazione letteraria. Scrive l’incredibile Delitto e castigo. Forse il più bel libro della storia. Per lui, la letteratura diventa profezia: vedeva se stesso come un profeta che vuole salvare i suoi connazionali. Quindi il miracolo. Che ha nome: Anna Grigorevna Snitkina. Vent’anni, colta, bella e pratica. Lo sguardo un po’ arcigno. La assume come stenografa. Pochi mesi dopo si sposano. Fëdor ha 46 anni. Anna è la donna che porterà stabilità e pace nella sua vita. Così diversa dalle altre a cui s’è legato prima. Intuisce d’aver trovato la donna giusta per lui. Anna è forte, molto sensibile, pochissimo esigente, immensamente affettuosa e totalmente devota. Lei si rende conto che non sarà facile vivere accanto ad un uomo così complesso, tormentato da un’infinita irrequietezza interiore. Ma comprende d’essere capace a resistere alle tensioni che lui inevitabilmente le procurerà. La prima notte di matrimonio si rende conto dell’angosciante realtà della malattia di suo marito, colpito da un violentissimo attacco epilettico. Poi il viaggio in Europa (mirabilmente narrato – sì leggetelo! – nel libretto di Leonid Cypkin, Estate a Baden Baden). Lui la maltratta. Alla roulette si gioca tutta la sua dote. Perde. Lei non molla. Le sta accanto fedelmente. Sa che il suo amore potrà curare quel genio assoluto dell’umanità. Si sente coinvolta in un’impresa cosmica. Capisce che le crisi fisiche e psichiche di Fëdor alimentano la sua vena artistica, sebbene rendano difficile il rapporto matrimoniale. Ma Anna ha stupende intuizioni su cosa serviva per far funzionare il loro matrimonio. Lei sapeva gestire quell’uomo tormentato e passionale. Riuscì a curarlo dal male del gioco d’azzardo: non rimproverandolo, ma dimostrandogli il suo amore incondizionato. Anche vendendo le sue uniche calze di lana per dargli i soldi per giocare. E a Baden Baden faceva freddo! Divenne la sua amministratrice. Portò stabilità alla sua singhiozzante situazione economica. Gli diede quattro figli. Lui scrisse, in questa’poca di relativa tranquillità, i suoi grandi romanzi. Tesori e patrimoni dell’umanità intera. In essi condanna la superbia luciferina dell’uomo nichilista che, sulla scia delle idee socialiste, rifiuta le fede in Dio e ritiene di poter conferire da se stesso un senso alla realtà. Sono anche gli anni in cui pubblica mensilmente le pagine che formeranno il Diario d’uno scrittore (ora ripubblicato da Bompiani). In esse egli affronta spavaldamente questioni d’attualità, soprattutto politiche; ci fa conoscere con la forza esuberante del suo pensiero le proprie idee sociali, religiose, artistiche e letterarie, le proprie riflessioni sui problemi esistenziali. La critica progressista lo bolla come reazionario. Lui, finito in galera per idee socialiste, viene considerato un conservatore bigotto. In realtà una maturazione è avvenuta in Dostoevskij: che non coincide solo col suo avvicinarsi alle idee conservatrici, ma che è frutto della sua continua ricerca della verità, della sua costante tensione a un pensiero originale. Questa sua visione, mai conformista – sempre al di là delle facili mode di pensiero -, lo avvicina al cuore del popolo russo. Che lo ama immensamente e riconosce istintivamente la profondità delle sue osservazioni. Molta gente, quando lo incontra per strada, si toglie il cappello. Nel 1868 muore la figlia Sonja, di soli due mesi. Nel 1878 perde il figlio Aleksej vittima d’un attacco epilettico. Fëdor entra in crisi profonda. Frequenta il monastero di Optina Pustyn, un centro d’irradiamento spirituale che ha condotto a Dio migliaia di fedeli. Incontra i monaci. È colpito dalla loro santità, dalla capacità di leggere nell’anima come in un libro , perché sapevano identificarsi con il prossimo, fino ad amare tutto ciò che costituiva la loro vita. Incontra lì lo starec Amvrosij il quale, dopo aver dialogato con lui, dice dello scrittore: Ecco un uomo che sa pentirsi!. Concepisce quindi l’idea de I fratelli Karamazov: s’ispira a quel monaco per tratteggiare la figura dello starec Zosima e confida all’amico Solov’ev il tema del suo ultimo immenso romanzo: La Chiesa come autentico ideale sociale. Sa di essere alla fine dei suoi giorni. La sua opera è compiuta. Dal letto chiama Anna, il suo tesoro. Le dice: Muoio oggi. Le chiede di leggergli un brano di quella Bibbia che tiene con sé dai tempi della Siberia. Lei la apre, a caso. Legge la parabola del figliol prodigo. Come lui, Fëdor ritorna dal Padre, quello stesso giorno, prima di mezzanotte. Una folla di 80 mila persone partecipa al suo funerale, portando un’enormità di ghirlande. Che cosa m’importava di chi aveva perso la Russia! – scrive però Anna -. Ricordate chi ho perso io! Sono stata privata del migliore uomo sulla terra, che ha dato gioia, orgoglio, felicità alla mia vita. Il mio sole, il mio idolo!… Nessun altro mi avrebbe donato tanta felicità. Fëdor Michailovic Dostoevskij, (1821 Mosca – 1881 Pietroburgo). Le opere: Povera gente (1846); Il sosia (1846); Le notti bianche (1848); Memorie da una casa di morti (1861-62); Umiliati e offesi (1862); Memorie dal sottosuolo (1865); Delitto e castigo (1866); Il giocatore (1867); L’idiota (1868- 69); I demoni (1873); L’adolescente (1875); La mite (1877); Diario di uno scrittore (1873-1881); I fratelli Karamazov (1879-80).

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