Diamogli il giusto peso

È quasi una nuova epidemia. Si chiama ciccia. Ovvero, in termini più precisi, obesità. Ne soffrono milioni di persone che questa malattia, a dire il vero, se la procurano da sé. A caro prezzo, per giunta, perché sono tanti i soldi che spendono nell’acquisto del cibo che la determina. Bibite gasate, patatine fritte, hot dog, dolci e biscotti… Mangiare velocemente, il fast food appunto, sta sempre più diventando sinonimo di mangiare male con conseguenze pesanti sulla salute… e sulle tasche. Già perché non solo si spendono più soldi per il cibo che si compra, ma poi se ne spendono altri per le medicine che si rendono necessarie, per i trattamenti che diventano indispensabili, per le visite specialistiche cui non si può non ricorrere. E si innesca così una catena di sprechi senza fine che si potrebbe evitare benissimo. Ce ne stiamo accorgendo, per fortuna, aiutati anche dagli elevati costi sociali che la crescita del numero degli obesi determina anche per le casse statali. Le conseguenze dell’obesità negli Stati uniti costano ogni anno 117 miliardi di dollari per questo problema; in Inghilterra 500 milioni di sterline; in Italia 23 miliardi di euro. Cifre che hanno indotto ad un ripensamento della questione determinando iniziative e provvedimenti. Negli Stati uniti, ad esempio, il senatore del New Mexico, Jeff Bingaman e quello del Tennessee, Bill Frist, hanno annunciato un provvedimento che autorizza gli enti federali a spendere maggiori quote del loro bilancio nell’informare i cittadini sui pericoli del sovrappeso. Le aziende, quindi, dovranno specificare le caratteristiche dei loro prodotti evidenziando quelli che possono danneg- giare il peso forma. Sarebbe la prima legge anti-ciccia della storia americana. Una necessità se si pensa che l’obesità colpisce il 61 per cento della popolazione statunitense e provoca il decesso di 300 mila persone l’anno. Secondo un rapporto pubblicato nel dicembre scorso dal capo della sanità Usa, si evidenzia inoltre che rispetto al 1980 i bambini con troppi chili sono il doppio e gli adolescenti il triplo. Quanto basta per prendere delle misure adatte a contrastare quello che oramai è un vero e proprio fenomeno. Da qui un programma di educazione alimentare messo in atto da grandi aziende, chiamato “Activate” (Attivatevi) che invita i ragazzi a fare pratica sportiva anziché “pratica televisiva” e la decisione dell’ufficio federale delle imposte, l’Internal revenue service, di rendere deducibili dalla denuncia dei redditi le spese per la lotta contro l’obesità, si tratti di farmaci o di sport. A parte la preoccupazione per le grandi catene di fast-food di finire in tribunale, come è abitudine diffusa da queste parti, (vedi guerra al tabacco), c’è da augurarsi che l’impegno per la salute risulti efficace e soprattutto determini un cambiamento di stile di vita e di consumi, il che è certamente operazione complessa. E, logicamente, non solo negli Stati uniti, ma in tanti altri paesi del cosiddetto mondo sviluppato. Secondo l’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) ad esempio, l’obesità è aumentata in Europa, negli ultimi 5-7 anni, del 50 per cento. Dicevamo prima dell’Inghilterra. A Londra hanno pensato di far pagare una sovrattassa contro il sovrappeso. Acquistare cibi grassi, troppo zuccherati o eccessivamente lavorati, alias hamburger, patatine, merendine e caramelle diventerà un lusso concesso ai benestanti. Un centro studi vicino al governo, il Demos, ha infatti calcolato che il 20 per cento della popolazione inglese è obesa. Non è un caso forse il fatto che nel paese anglosassone il fast-food sia cresciuto negli ultimi dieci anni del 66 per cento. Anche qui le cattive abitudini cominciano già in età precoce. Secondo l’Institute of child health (Istituto per la salute dei bambini), infatti, i due terzi dei ragazzini inglesi seguono una dieta principalmente composta da snack, dolci e patatine. Molti adolescenti poi ogni nove mesi mangerebbero una quantità di questo tipo di cibo corrispondente al peso del proprio corpo. Quanto basta per poter parlare, secondo il Demos, di “povertà alimentare”. Sarà humour inglese parlare di povertà a proposito di un’eccessiva ricchezza? Sarebbe meglio che i nostri amici che abitano l’altra parte del pianeta dove si muore per fame non sentissero simili affermazioni. Paradossi dell’età post moderna. E l’Italia? Con il suo surplus alimentare potrebbe sfamare altri 110 milioni di persone. In un paese come il nostro in cui il 45 per cento della popolazione combatte contro il sovrappeso ogni cittadino ha a disposizione, oltre ai tre pasti che regolarmente consuma, tre pasti di riserva che non potendo consumare né riuscendo a passare ad altri, risultano alla fine sprecati. Questo secondo un’indagine condotta dall’Iran, l’Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione. In quanto a quelli che mangiano troppo e male, nel Belpaese sono oltre 4 milioni, con un incremento del 25 per cento rispetto al 1994. La percentuale degli obesi appare correlata, almeno in media, al livello di istruzione. Essa registra infatti un 4,5 per cento tra gli adulti con diploma o laurea, mentre arriva al 15 per cento tra chi ha la licenza elementare o nessun titolo. In quanto all’adozione di comportamenti salutari, quali possono essere il controllo del peso corporeo, si vede che le donne vi fanno più attenzione. Il 61,9 per cento delle donne infatti controlla il proprio peso almeno una volta al mese mentre lo fa solo il 46,4 per cento degli uomini. Un problema vissuto più come una preoccupazione estetica che di salute. Solo il 18 per cento degli obesi si rende conto di avere una vera e propria malattia. Che può causarne altre anche mortali. L’obesità infatti, che riduce di dieci anni l’aspettativa di vita, è strettamente correlata a diabete, ipertensione, infarto, ictus, coronaropatie, tumori ad alcuni organi, problemi osteoarticolari. “La gente ingrassa e pensa che i chili di troppo siano un segnale di benessere. Ma non è così – ha affermato il ministro della Salute Sirchia -. L’obesità ha effetti nefasti. E c’è addirittura chi è costretto a cambiare lavoro o a lasciarlo del tutto perché non è più in grado di muoversi”. Sceso in campo contro quei farmaci da banco che promettono di smaltire in fretta i chili di troppo senza alcuna rinuncia, lo stesso ministro ha anche sottolineato come troppa gente creda agli effetti miracolosi degli integratori dietetici ed ha evidenziato la necessità di una potente campagna di informazione. Insomma, rimandare di affrontare il problema obesità rischia di farci arrivare troppo tardi. Speriamo che le vacanze che per qualcuno sono già concluse, per altri in corso, per altri ancora sono da venire servano anche a farci apprezzare la buona cucina, quella sana tavola che non soggiace ai tempi corti del panino veloce… Critica l’età media I più “colpiti” dall’obesità, il 15 per cento del totale, risultano le persone tra i 55 e i 64 anni, seguiti da quelli che rientrano nella fascia d’età fra 45 e 54 anni che si attestano al 13 per cento. Gli anziani occupano il 12,4 per cento mentre i giovani tra i 18 e i 24 anni si fermano al 2 per cento.

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