Diamanti e fondi di bicchiere

Dove sono la cultura e la società civile? Talvolta un po' di pessimismo ci aiuta a non falsificare la nostra vita.
Simboliche

Avendo cinquant’anni di esperienza letteraria e una vocazione irrinunciabile, so distinguere un diamante da uno zircone e uno zircone da un fondo di bicchiere, e perciò posso dire con cognizione di causa che in Italia di diamanti non se ne vedono; morti Testori e Luzi, gli zirconi sono un certo numero, ma i fondi di bicchiere, premiati e bestsellerizzati dalla cinica macchina editorial-pubblicitaria, non si contano.

Allora mi chiedo: dov’è la cultura? Dov’è la società civile? Perché ci dev’essere dell’una e dell’altra, anche in dosi minime, affinché risultino vita e non parodia di vita una lingua, una nazione.

Ai tempi di Dante (faccio un paragone enorme, impossibile, lo so), proprio dentro una società rissosa, crudele e vivacissima, fluiva una miracolosa corrente di cultura – filosofia, teologia, poesia, conoscenze naturali e tecniche – in un alveo di lingua magnificamente concreto, plastico, creativo, con un rapporto tra cose e parole che non si è ripetuto così perfetto, se non, e non serenamente, in rari e brevi momenti (mi basta pensare al Canto notturno di Leopardi).

 

Ma oggi cosa siamo: culturalmente, civilmente? Un accampamento di turisti spaesati o ignoranti, che parlano linguaggi o chiusi o scorretti, un pollaio tecnologico di galline arrabbiate (vedi in primis i politici) che deprimono la gente buona e positiva (ce n’è tanta) e coprono di urla le voci sommesse di chi vuole e fa il bene.

Un vuoto evidente di società civile dissolta, sostituita da gusti modaioli o gossipari, in cui una qualsiasi nullità può assurgere effimeramente a un fantastico! incredibile! successo, per poi subito spegnersi nel non-mai-stato lasciando il posto ad altri consimili menzogneri soffi di vento.

A che servono la cultura, la letteratura, la poesia? (infatti non servono, regnano negli animi non inariditi e spenti). La risposta è presto data: una società civile, anche uno straccio di società civile, è sempre unicamente frutto di una coltivazione umana (= cultura, dal latino celere, significa appunto coltivare), e una cultura, anche uno straccio di cultura, che non va mai confusa con un’efficienza economico-tecnica, può essere solo frutto coltivato di quella coltivazione: società e cultura si fondano reciprocamente.

Dante non uscirebbe mai da un Grande fratello (se non come autore dell’Inferno), e da un bambino-lupo vissuto nella foresta non otterrete mai un essere umano acculturato, e neppure pensante-parlante umanamente.

 

Il tragico più tragico di questa situazione è che società civile e cultura sono continuamente sostituite, come il burattinaio sostituisce dettandoli i movimenti delle marionette, dal Mercato, che perciò continuamente finge – basta saper leggere e non solo bere la pubblicità – di essere società civile e cultura, sfrontatamente imitandole: gruppi pubblicitari che sembrano gente unita da pensieri e persino ideali e invece sono replicanti e androidi al servizio di multinazionali, “cultura” dei telequiz, dei reality, degli spaghetti all’amatriciana…

Così è potuto accadere che un folle disk-jockey abbia definito le Confessioni di sant’Agostino un’«opera banale», e che ogni giorno, senza essere folli e disk-jockey, milioni di de-culturati lo pensino altrettanto di mille tesori di civiltà e cultura che, alla loro umanità bloccata, mancano terribilmente.

Ma anche il tragico può diventare propulsivo, e persino entusiasmante, se lo si affronta come costantemente crocifiggente termine di paragone per la propria intransigente fatica quotidiana: Giambattista Vico scriveva la Scienza Nuova «in fra li strepiti familiari», Spinoza conquistava la sua alta serenità mentre tentavano di ammazzarlo, Dante stesso – e qui il paragone può risultare meno impervio per noi – contemplava «sotto ogni cielo le dolcissime verità» e non in poltrona davanti alla tv ma «mendicando sua vita frusto a frusto».

Dipende da quanto non falsifichiamo la nostra vita, da quanto siamo disposti non solo a viverla ma anche a morirne.

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