Dialogando con Mario Landi

Responsabile nazionale del Rinnovamento nello Spirito Santo, è anche funzionario di banca e amministratore del Comitato di presidenza della Consulta nazionale delle aggregazioni laicali della Cei.

«Chi instilla speranza, gioia, vita spirituale? Chi insegna ad avere relazioni vere e autentiche? Anche questo è un modo di prendersi cura dell’uomo d’oggi. E questa è la nostra principale vocazione».

Cosa significa incontrare il RnS?
Nel 1977, avevo quattordici anni, fui invitato da mia sorella a un incontro dei gruppi del Rinnovamento del centro e sud Italia che si teneva nel duomo di Salerno. Ci andai. Avevo una formazione cattolica, non ero lontano da Dio, ma quella prima esperienza mi segnò profondamente. Fu un incontro personale con lo Spirito Santo, con Gesù. Non con un Gesù culturale, neanche con un Gesù cultuale, da riti, ma con un Gesù vivo. Non chiedermi come, non saprei dirlo, ma sentivo che era una presenza viva che entrava nella mia esistenza. E questo in una cornice di gioia, di festa, di fraternità. Da quel momento è iniziato un cammino che non ho più interrotto. E che ha determinato le scelte della mia vita, affettive, amicali, professionali.

Come si entra a far parte di questa Associazione?
Il cardinale Suenens diceva: «Non si entra nel Rinnovamento, ma è il Rinnovamento che entra nella tua vita». Il Rinnovamento non ha una selezione nell’accoglienza, chiunque può partecipare a prescindere dal voler fare o no un cammino in una realtà locale del RnS. C’è insomma una certa “nebulosità” di appartenenza che per noi non è un male, anzi la riteniamo favorita dallo Spirito Santo. Papa Francesco ha compreso questo più di tutti: lui vuole che la realtà del RnS carismatico contagi la Chiesa, non che diventi un Movimento dove i criteri di appartenenza sono stringenti. Ci sarebbe il rischio di diventare un’enclave carismatica dentro la Chiesa, tradendo la nostra missione di favorire in tutti l’esperienza dell’effusione dello Spirito Santo.

Giovanni Paolo II chiamava il RnS «un dono speciale dello Spirito Santo alla Chiesa in questo nostro tempo». In che cosa consiste questo dono?
Quando diceva queste cose, ero presente. Lui evidenziava elementi che ancora oggi configurano la nostra missione: una riscoperta dello Spirito Santo e dei carismi che vengono dati a ognuno dei singoli battezzati; l’uso dei carismi “nella Chiesa e per la Chiesa”; la dimensione fraterna, alimentata da relazioni ispirate al perdono reciproco; un forte impulso missionario. Oggi papa Francesco ci spinge a partire dal Battesimo nello Spirito e dalla lode – che caratterizza il nostro pregare insieme – per trasformare l’esperienza carismatica in servizio all’uomo, per toccare la carne ferita dell’umanità.

Nella “Gaudium et spes” si parla di «segni della presenza o del disegno di Dio» nella storia. Secondo la vostra esperienza, come si possono cogliere questi “segni dei tempi”?
Una realtà che ha un fondatore attinge al carisma che lo Spirito Santo ha dato a lui o a lei, ed è lui o lei stessa un segno dei tempi. Il Rinnovamento carismatico, in cui il RnS ha avuto origine, non ha un fondatore. Questo ci ha sempre obbligati a vivere in un atteggiamento di discernimento comunitario, per cogliere i segni dei tempi. Quindi c’è un certo allenamento nel quale in qualche modo ci siamo cimentati in questi primi 50 anni di cammino. Noi, fedeli alle indicazioni della Chiesa, dobbiamo allo stesso tempo cercare di capire cosa Dio ci chiede di fare qui ed ora.

Quali sono i “segni dei tempi” oggi?
Noi riteniamo che oggi ci sia bisogno di ricondurre l’uomo alla verità della sua umanità. San Paolo scriveva: «Chi infatti conosce i segreti dell’uomo se non lo Spirito dell’uomo che è in lui?». L’evangelizzazione parte da questa conoscenza. Ma oggi non è semplice. Ti faccio un esempio. Riempire d’acqua questa bottiglia è facile. Ma se questa bottiglia fosse forata qui, qui e qui, tu ci metti l’acqua dentro e dopo un po’ si svuota. Oggi corriamo il rischio di proporre un’esperienza spirituale, ecclesiale, a tanti dei nostri, ma questa esperienza molto spesso è fondata su personalità fragili, ferite. E l’acqua dello Spirito rischia di fuoriuscire dai forellini. Quindi dobbiamo accompagnare una solida e sana esperienza spirituale a una solida e sana formazione umana. Il luogo di questa formazione non è soltanto quello della cultura e del sapere, ma anche quello della fraternità. Se non facciamo questo, la nostra esperienza spirituale può diventare debole e insufficiente, in molti casi temporanea ed evanescente.

Oggi parte dell’umanità si sente disorientata. È in corso un’epoca di enormi cambiamenti, recentemente si sono aggiunte la pandemia e la guerra in Ucraina…
La pandemia e la guerra hanno annichilito ancora di più la già debole speranza nel cuore di tante persone. Se immaginavamo di uscire migliori dalla pandemia, la realtà ci sta mostrando che ne stiamo uscendo peggiori. Anche la vita ecclesiale ne ha sofferto. Perché in qualche modo la paura, la solitudine, la pigrizia che ha contagiato tanti, la sofferenza, hanno intorpidito i sensi spirituali. La paura dell’altro ha aggravato ancora di più quanto l’individualismo e l’edonismo avevano già negativamente influenzato nell’uomo d’oggi.

In tutto questo il RnS cosa fa?
Un lavoro silenzioso, umile, nascosto con frutti non immediati. Un lavoro non soltanto culturale, ma un’opera di ricostruzione dei singoli cristiani. Penso che questo lavoro sia impagabile. Nella Chiesa c’è chi fa opere di carità evidenti – e lodiamo il Signore per chi ha questi carismi, di rispondere alle esigenze concrete, ai bisogni immediati –, ma ci sono bisogni meno evidenti a cui bisogna rispondere per il futuro dell’umanità. Chi instilla speranza, gioia, vita spirituale? Chi insegna ad avere relazioni vere e autentiche? Anche questo è un modo di prendersi cura dell’uomo d’oggi. E questa è la nostra principale vocazione.

Il card Ratzinger, dopo l’evento della Pentecoste 1998, scriveva che i movimenti «sono irruzione dello Spirito» nella vita della Chiesa. Facendo un bilancio, è stato così?
È indubbio che i movimenti in questi anni hanno radicato il loro consolidamento ecclesiale, ma è anche vero che il secolarismo e le influenze culturali contemporanee stanno mettendo in difficoltà i movimenti. Oggi non siamo più di fronte a un’esplosione di vita dei movimenti. In Italia poi, anche sul piano sociologico e anagrafico, assistiamo a un invecchiamento spaventoso della popolazione, e questo influisce sulla composizione delle nostre comunità, con tutte le conseguenze che questo comporta sulle capacità di reattività.

I tempi odierni richiedono una collaborazione fra i vari movimenti più intensa che nel passato?
Sono convinto che oggi nessun movimento da solo ha né la chiamata né la forza di esercitare il proprio carisma. Con un’analisi grossolana, direi che le stagioni della vita dei movimenti sono state tre. La prima va dalle varie fondazioni a Pentecoste ’98. Sono stati gli anni nei quali ognuno andava avanti per conto suo, consolidandosi, ma a volte anche pensando di essere l’unica cosa bella che lo Spirito Santo avesse creato. Nel ’98, grazie a san Giovanni Paolo II, si è entrati in una seconda stagione. C’è stato il richiamo ad uscire dalla fase adolescenziale ed entrare in quella della maturità. I movimenti hanno così compreso la bellezza l’uno dell’altro, hanno capito la comune vocazione apostolica della loro missione. Ora con papa Francesco ci affacciamo alla terza stagione. Nella Evangelii gaudium propone l’immagine del poliedro: una diversità di facce, corrispondenti alla diversità delle forme carismatiche, ma tutte parti dell’unico poliedro.

Come si potrebbe aumentare la collaborazione?
È una domanda che non ha ancora ricevuto una risposta esaustiva. Non mancano esperienze e iniziative, ma forse siamo solo agli inizi. Ritengo che le varie associazioni e movimenti debbano passare dalla stima reciproca – dato ormai consolidato – a forme di collaborazioni operative nel tessuto delle comunità locali. Io penso che ciò comporti, da un lato, che tra i movimenti cresca la convinzione di essere radicati in un progetto ecclesiale più ampio delle singole missioni particolari; dall’altro che le parrocchie e le diocesi considerino sempre più i movimenti come parte integrante della vita di una comunità locale. Il rischio è di percepirsi in mondi paralleli. Insomma, le comunità locali, le diocesi e le parrocchie debbono valorizzare e integrare i carismi che lo Spirito ha già dato e darà in altre forme in futuro. E i carismi che già esistono devono in parte destrutturarsi per integrarsi sempre più fra loro e con le realtà locali. Non è una cosa facile. Ma penso che questo si aspetti da noi papa Francesco. E il Sinodo è la grande opportunità per iniziare a fare questo cammino.

I numeri del RnS in Italia:
• 60 mila circa aderenti ufficiali
• 60 mila circa simpatizzanti
• 1.700 circa “Cenacoli” e “Gruppi Comunità”
• 5 Nazioni con presenza RnS: Svizzera, Germania, Francia, Australia, Moldavia

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