Destinazione Corinto

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Il viaggio riprende verso la Frigia: paesaggio monotono, senza alberi, colline aride, grandi distese coltivate a frumento. A sud la catena che divide la Licaonia dalla Pisidia, montagne dolci, ma rigorosamente senza vegetazione. Nella Frigia altre pianure che si perdono a distesa. Poi monti e colline verdi. Ed ecco l’emozione, la prima, almeno per me, di questo viaggio: Colossi. Per i colossesi Paolo compose il mirabile inno cristologico: Egli è immagine del Dio invisibile/ generato prima di ogni creatura…; per loro, come per quelli di Laodicea, sostenne una dura lotta perché giungessero alla piena conoscenza di Cristo nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza. Della città si intravede appena il luogo antico, ai piedi delle montagne, un piccolo villaggio e niente più, ma quanto basta per far partire il cuore. Poi Laodicea, anche questa appena rilevata dai recenti scavi. In questa serata quieta, abbraccio con lo sguardo il paesaggio ondulato nel quale finalmente posso collocare tanta della storia che ci è cara, e che guardo con lo stesso sguardo d’amore di Paolo. Nelle vicinanze Pamukkale, l’antica Hierapolis, Gerapoli, famosa per le cascate calcaree pietrificate in un bianchissimo travertino. Doveva essere davvero una gran bella città. Innanzitutto per la sua posizione geografica, spalleggiata da monti coperti di pini, con davanti la grande pianura. L’area archeologica è vastissima, in stato di semi-abbandono. Intatto il teatro che mostra ancora l’antico splendore. Più in alto i resti di una grande chiesa sorta sul luogo del martirio di Filippo. Qui aveva sede la comunità cristiana fondata da Epafra e destinataria delle lettere circolari di Paolo. Dalla Frigia alla Ionia, la zona di cultura greca, che ha dato i natali a Saffo, Anacreonte, Pitagora e Anassagora, che ha visto nascere l’alfabeto greco, lo stile architettonico ionico… E finalmente Efeso, capitale della romana provincia d’Asia. Vi arriviamo a fine mattinata, dopo essere passati per Tralle, a cui Ignazio di Antiochia, in viaggio per Roma, aveva indirizzato una delle sue lettere. Visitiamo subito la basilica e la tomba di san Giovanni, rinvenute nel secolo scorso, maestose per la monumentalità e soprattutto per il loro significato. Entriamo poi nella Efeso antica, riscoperta dagli scavi del secolo scorso. La posizione, tra le montagne e con il mare davanti, è incantevole. Le agorà, la strada principale, il teatro, la biblioteca di Celso, i templi, tutto dice lo splendore di questa grande città. Si capisce come Paolo vi si sia fermato per tre anni così che la parola del Signore cresceva e si rafforzava (Atti 19,20). Nella lettera indirizzata a questa Chiesa, Paolo traccia la fisionomia della Chiesa corpo e sposa di Cristo, comunità nuova di redenti, di figli di Dio uniti in un solo corpo. Ma quale grande monito verrà in seguito per Efeso, come per noi, da parte di Giovanni: Hai abbandonato il tuo amore di prima! (Ap 2,2). Infine i pochi ruderi della chiesa del Concilio di Efeso, dove leggiamo il decreto conciliare concernente la divinità di Cristo e la proclamazione di Maria Madre di Dio per terminare con la professione del credo. Passa in Macedonia Lasciamo Efeso con il sorgere del sole tra un mare di piccole nubi distribuite uniformemente nel cielo che si indora. Tre ore di viaggio verso Pergamo attraverso le regioni Ionia, Eolia, Misia. Attraversiamo Smirne, città immensa, con i sue sette milioni di abitanti. Si distende attorno al porto, riempie tutta la vallata e sale sulle colline che la circondano. Chissà com’era al tempo di san Policarpo. Dello stadio nel quale fu arso non rimane che un piccolo avvallamento. A questa comunità l’Apocalisse indirizza una delle sue sette lettere, con un elogio incondizionato. Anche Ignazio di Antiochia, accolto qui da Policarpo nel suo viaggio verso Roma, ha scritto una lettera alla comunità e una al suo pastore. Il viaggio continua tra colline, olivi, costeggiando un mare leggermente mosso, d’un intenso colore cobalto, le coste desertiche e verdissime, toccando Pergamo, capolavoro della civiltà ellenistica e romana, la cui comunità cristiana rimase saldamente attaccata al nome di Cristo, il Kyrios (Signore), senza riconoscere questo titolo all’imperatore, portandola presto all’esperienza del martirio: Antipa fu il primo martire d’Asia da noi conosciuto. Poi Asso e Troade, da cui Paolo passò almeno tre volte nel suo andare tra Asia ed Europa, fino allo stretto dei Dardanelli (l’antico Ellesponto) che dal mar Egeo porta al mar di Marmara. Dall’altra parte l’Europa! Paolo vi giunse dirottato dal macedone apparsogli in sogno, che lo invitava in questa regione. Ed eccoci a Neapolis in Macedonia, dove Paolo sbarcò in Europa. Continuiamo per Filippi, prima tappa dell’apostolo. Le rovine della città si distendono nella pianura ai piedi di monti sassosi e aridi che hanno un loro fascino. Su di essi si inerpica il teatro. In basso, poco discosto da esso, il carcere – o almeno supposto tale – dove furono rinchiusi Paolo e Sila e da dove furono liberati dal terremoto: luogo di battesimo del carceriere. Tra il teatro e l’agorà corre la via Egnazia che congiungeva Apollonia e Durazzo a Tessalonica, passando tra l’Illirico e la Macedonia, toccava Heraclea, Edessa e Pella, fino al Bosforo. Tesa tra Occidente e Oriente, è stata la via percorsa più volte da Paolo nei suoi viaggi. Poco più avanti il torrente d’acqua fresca e limpida dove Paolo incontrò le donne giudee e conquistò alla fede Lidia. È qui che celebriamo la messa, tra lo stormire degli alberi e il canto dell’acqua. Tessalonica, comunità generosa Scendiamo di nuovo sul mare, lungo la via Egnazia fino a Tessalonica. Paolo vi giunse nel 49 proveniente, come noi, da Filippi, in compagnia di Sila e Timoteo. Da qui il Vangelo si diffuse per tutto il litorale e verso le isole dell’Egeo. Comunità generosa, quella di Tessalonica, al suo interno come verso i cristiani dell’intera regione. Il poeta di Tessalonica Antipatro (50 a.C.-25 d.C.) scriveva che la sua città è celebre come madre di tutta la Macedonia. Ancora oggi conserva l’appellativo tradizionale di madre dei poveri. A questa Chiesa Paolo indirizza il più antico documento del Nuovo Testamento. A Salonicco, la Tessalonica di oggi, seconda città della Grecia, visitiamo il foro romano, riemerso dagli scavi otto anni fa, unica pallida idea di Paolo e della comunità dei tessalonicesi. Seguendo Paolo eccoci poi a Berea, dove l’apostolo fu accolto con grande interesse. Tracce del suo passaggio nessuna. La Chiesa ortodossa ha costruito un bel monumento in sua memoria, denominato Tribuna dell’apostolo Paolo, sul luogo dove si suppone che egli avesse proclamato il Vangelo. Lì celebriamo la messa. Attraversiamo la Tessaglia e saliamo sulle montagne che si stendono a perdita d’occhio. Giungiamo sul Parnaso, dove i greci venivano per interrogare l’oracolo di Delfi, fino a quando, siamo nel 300, la sacerdotessa annunciò che la nuova religione (il cristianesimo) interferiva in maniera troppo forte sulle sue frequenze e che da allora avrebbe taciuto per sempre: fu la fine di Delfi. Nel suo viaggio lungo la Grecia Paolo aveva trovato così tanti dèi da rimanere impressionato se non turbato. Lasciamo il monte Parnaso e le cime alpestri per scendere verso il mare, d’un azzurro inteso. Atene e Corinto, infine Siamo nella grande Atene, al tempo di Paolo capitale della cultura. L’apostolo tentò di allinearsi con l’ambiente adottando lo stile di un predicatore colto, che conosce i filosofi, cita i poeti, ne utilizza il linguaggio e i temi, con quell’apertura positiva ai valori dell’uomo di cui scriverà ai cristiani di Filippi: Tutto ciò che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, tutto ciò che è virtù ed è degno di lode, tutto questo pensate (34,8). Per lui non c’è conflitto tra il Vangelo e i valori positivi delle ricerche dell’uomo. Siamo subito all’areopago, sulla collina di Marte, ai piedi dell’acropoli di Atene. Leggiamo il discorso lì pronunciato da Paolo e rinnovato la nostra fede nella risurrezione, pazzia per i greci di allora. Da qui Paolo poteva vedere in alto i propilei e in basso il tempio di Nettuno, quello di Zeus Olimpio. Attorniato da templi delle più diverse divinità dava volto al Dio unico e vero. Da Atene a Corinto, seguendo l’ultima tappa del nostro itinerario. Un viaggio che per Paolo fu pieno di amarezza, affrontato con animo trepidante (1Cor 2,3). Gli ateniesi avevano fraintesero la sua predicazione e lo avevano considerato uno stolto. La cultura greca sembra impermeabile al Vangelo. Era l’autunno del 51. Dopo una breve sosta all’istmo che congiunge i mari Egeo e Ionio, tagliato nella roccia viva, lungo poco più di sei chilometri, la visita all’antica Corinto, ai piedi di una montagna rocciosa e solitaria. La nuova Corinto, ricostruita dopo un terremoto del 1800, è più lontana, proprio sulla sponda del mare Egeo. Sostiamo al Bema, la tribuna al centro dell’agorà, dove probabilmente Paolo è stato condotto dai giudei, alla presenta di Gallione. A Corinto, dove rimase un anno e mezzo, Paolo trovò Aquila e Priscilla, tessitori, e si mise a lavorare con loro. Anche a Filippi aveva incontrato Lidia, una commerciante di porpora, e ad Efeso tintori e mercanti di lana. Durante i suoi viaggi Paolo si metterà spon taneamente in relazione con artigiani e mercanti di prodotti tessili e nelle sue lunghe soste, vorrà a tutti i costi provvedere al proprio sostentamento fabbricando tende, il mestiere che aveva imparato in seno alla sua famiglia, manifestando la massima stima per il lavoro manuale che esercitò come operaio salariato. Vorrà a tutti i costi guadagnarsi di che vivere per non essere a cari co delle comunità. Il nostro viaggio si conclude qui, con le parole che Paolo indirizzò a questa Chiesa e che continua a ripetere oggi quale magna carta del cristianesimo: Se parlassi le lingue, se avessi il dono della profezia, se dessi tutte le mie sostanze, ma non avessi la carità, tutto sarebbe inutile. La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si vanta… Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine… (1 Cor 13).

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