Ci sono giorni nei quali mi alzo dal letto con il piede sbagliato. Sono sopraffatto da uno strano senso d’insoddisfazione e isolamento, come se gli altri non mi capissero. Le persone, anche le più vicine, pure quelle che mi sono care, le sento ostili e prive d’attenzione nei miei riguardi.
Inizio a chiudermi e mi cresce dentro un sentimento di delusione che poco alla volta diviene rancore e poi ostilità verso il mondo che mi circonda. Rimpiango d’esser stato troppo generoso e che avrei fatto meglio a pensare di più a me stesso. Mi assalgono i dubbi più assurdi e mi chiedo perché la gente sia diventata così indifferente e ingrata. Alla fine, il vortice di queste considerazioni diventa travolgente e vorrei rompere l’assedio in cui mi sento costretto e fuggire via, lontano…
Ieri mi sentivo proprio così, come altre volte mi era già capitato. Poi, però, ho deciso di attingere alle migliori esperienze. Un modo c’era per combattere questi sentimenti: buttarsi fuori! Far finta per un paio d’ore che tutto va bene. Ho ingranato le marce basse per sfidare la risalita e ho seminato qualche piccola cortesia proprio a chi avrei voluto strozzare; cose spicciole, niente di trascendentale, giusto per far capire al mio umore chi comandava.
Senza capire esattamente quando, in un flusso in cui le cose avvengono quasi da sole senza metterci l’intenzione, mi sono sentito meglio, non avevo più istinti omicidi. Visto che lo stratagemma stava funzionando, ho continuato per questa strada e alla fine della giornata, con un certo stupore, mentre tiravo su le coperte prima d’addormentarmi, m’è sgorgato dal cuore un misterioso senso di ringraziamento.
Nella quiete, senza clamore, s’è tramutato in preghiera. Non recitavo a memoria, era più bello di così, più vero, come fossi parte dell’immensità. La mattina mi ero sentito solo e sperduto e alla sera completamente diverso, in una nuova dimensione, come fossi un altro. Certe volte come stiamo dentro dipende da cosa facciamo fuori!