Denatalità, Alessandro Rosina: la famiglia sia al centro delle politiche del Governo

Aumenta la denatalità nel nostro Paese: rispetto al 2020, anno "nero" per le nuove nascite, nel 2021 il calo sembra ancora più marcato. Le richieste del professore Alessandro Rosina, di Alleanza per l'Infanzia.
Sempre meno nascite (AP Photo/Seth Wenig, File)

Non ha resistito nemmeno Bolzano. La provincia, che fino all’anno scorso era il baluardo della natalità nel nostro Paese, nel 2021 ha deposto le armi. Neanche i numerosi incentivi e sostegni pensati per la famiglia hanno retto davanti alle difficoltà e alla crisi economica prodotte dalla pandemia da Covid 19. In Italia si fanno sempre meno figli e il dato è in continua diminuzione. Se, infatti, nel 2020 i nuovi nati erano stati 404.892, 15 mila in meno rispetto al 2019, nei primi 9 mesi del 2021 (da gennaio a settembre) il calo, rispetto al 2020, è già di -12.500: quasi il doppio del numero registrato nello stesso periodo del 2020.

Il numero medio di figli per donna, secondo i dati forniti dall’Istat, è sceso a 1,24. E se all’inizio del millennio le principali difficoltà riguardavano la decisione di fare un secondo figlio, adesso le coppie più giovani hanno problemi a decidere se averne almeno uno.

Per l’Istat tra le cause del calo dei primi figli «vi è la prolungata permanenza dei giovani nella famiglia di origine, a sua volta dovuta a molteplici fattori: il protrarsi dei tempi della formazione, le difficoltà che incontrano i giovani nell’ingresso nel mondo del lavoro e la diffusa instabilità del lavoro stesso, le difficoltà di accesso al mercato delle abitazioni, una tendenza di lungo periodo di bassa crescita economica, oltre ad altri possibili fattori di natura culturale».

Aumenta anche il numero dei bambini nati fuori dal matrimonio (pari a un bambino su tre): considerando le coppie di entrambi italiani, tra le giovani coppie fino a 24 anni si arriva al 67%, mentre tra i 25 e i 34 anni sono il 38%.  A partire dai 35 anni, circa un nato su tre è al di fuori del matrimonio, sia per il complesso dei nati sia tra quelli di cittadinanza italiana. Molto, spiegano dall’Istat è dovuto alla pandemia, che ha convinto molte coppie a rinviare le nozze.

Come reagire allora a questo dato ormai consolidato, che porta all’invecchiamento del nostro Paese e a problemi sociali ed economici rilevanti? In un incontro svoltosi qualche settimana fa a Roma, promosso dal Forum nazionale delle associazioni familiari guidato da Gigi De Palo, è stata chiesta una svolta forte e decisa sulle politiche familiari.

Per Alessandro Rosina, docente di Demografia e Statistica sociale presso l’Università Cattolica di Milano, tra i promotori di Alleanza per l’Infanzia, a causa della denatalità nel nostro Paese, che ha «un alto debito pubblico, diventa veramente difficile sostenere la crescita competitiva e mantenere una spesa sociale, con il rischio che aumentino anche le disuguaglianze».

Professor Rosina, il problema della denatalità in Italia è molto grave, cosa serve per contrastarla?
Basta che guardiamo a quello che hanno fatto altri Paesi che si trovavano in una situazione come la nostra o peggiore. Un esempio è la Germania, che ha investito fortemente su un insieme di politiche familiari che sono state rafforzate in varie direzioni: sono importanti i congedi, anche il congedo di paternità, affinché vi sia una condivisione all’interno della famiglia; sono importanti anche i servizi per l’infanzia, però un asse centrale che fa la differenza sono i sostegni economici alle famiglie con figli, che quindi aiutano ad affrontare il costo di allevare un figlio, ma che diventano anche un segnale importante di un Paese che sostiene quella scelta, che la incoraggia e che decide di investire sulle nuove generazioni.

Lei afferma che contrastando la denatalità si aiuta tutta la società: in che modo?
In un Paese in cui si vive sempre più a lungo e in cui aumenta la popolazione anziana, per essere sostenibili rispetto alla spesa sociale per le pensioni, per la sanità e per tutto ciò che serve per vivere a lungo e in condizioni adeguate, servono persone che producono ricchezza, che generano benessere, che pagano tasse e contributi. Persone, cioè, che finanziano questa spesa che va a rendere sostenibile il sistema di Welfare e fa crescere il Paese. Se però la popolazione si riduce a partire dai giovani, come conseguenza della denatalità, il sistema diventa sempre più fragile, sempre più instabile.

Che cosa chiedete concretamente?
Chiediamo che ci sia veramente una svolta rispetto alle politiche familiari. Che queste siano messe al centro delle politiche di benessere e di sviluppo del Paese. Per invertire una tendenza che ci vede troppo spesso sui livelli più bassi al mondo rispetto alla natalità è necessario ispirarsi alle migliori esperienze degli altri Paesi. Sia rispetto ai servizi per l’infanzia sia rispetto agli strumenti di conciliazione e sia rispetto al sostegno economico alle famiglie con figli, attraverso l’assegno unico universale, bisogna mettersi al livello del meglio che c’è attualmente in Europa. Noi chiediamo quindi al governo che ci sia questa ambizione di un Paese che considera le politiche familiari al centro delle proprie politiche di sviluppo e impiegare tutto quello che serve per investire alla fine su sé stesso, sul proprio futuro e sulle nuove generazioni.

(Altri approfondimenti nel numero di dicembre della rivista Città Nuova)

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