Denaro e bellezza

La Firenze dei banchieri e degli artisti in una mostra originale nel capoluogo toscano
il cambiavalute e la moglie

I ricchi amano l’arte. Anzi, più lo sono, e più si danno da fare per diventare collezionisti. L’arte, si sa, è un capitale che dura, e che produce introiti. E poi fa pubblicità – tanta – e propaganda alla ricchezza. Lo pensano in molti, oggi; e lo pensavano i Bardi, i Peruzzi, i Gondi, i Cambini, i Pazzi, i Medici nella Firenze tre-quattrocentesca. Come in seguito lo penseranno i Chigi, i Borghese, i Colonna, i Guggenheim e i collezionisti americani e giapponesi del nostro tempo (i cinesi stanno arrivando anche qui…).

 

Ci sta allora proprio bene la rassegna fiorentina sul rapporto denaro e cultura artistica. Sfilano così a Palazzo Strozzi – una famiglia non proprio povera…-, capolavori d’arte: Botticelli, fra’ Angelico, Ghirlandaio, Della Robbia, Lorenzo di Credi, Andrea del Verrocchio, Hans Memling, insomma l’élite del Rinascimento. Cento opere da musei di tutto il mondo a dire il rapporto tra ricchezza e vita. Ci sono tavole terribili, come quella di Jan Provoost, fiammingo di Bruges che inscena L’avaro e la morte e Gli usurai in cui l’attaccamento ai soldi è evidenziato anche dalle fisionomie esagerate, caricaturali degli strozzini, con evidente condanna da parte dell’artista, e del pubblico. C’è anche il celebre Il cambiavalute e la moglie (1540) di Marinus van Reymerswaele, immagine del nascente capitalismo in terra olandese, puntuale nella resa del bilancino, delle monete e dello sguardo avido della moglie. Un ritratto all’epoca di splendore, di pubblicità della coppia, ma che a noi oggi, e certo sfuggiva agli interessati, celava una condanna di una attività lucrosa solo per pochi. Però il mondo economico non conosceva soste: ecco fiorini, lettere di cambio e leggi statali per frenare il lusso, femminile in particolare, ma anche maschile. Allora come ora far vedere che si ha soldi non guastava. Ecco le mappe di un popolo di mercanti-viaggiatori ben vestiti come nella tavola dell’Angelico del Miracolo di san Nicola, dove il mercante è un gigione ben impellicciato.

 

La rassegna presenta ovviamente il rapporto tra banchieri ed artisti, e qui i Medici ci stanno alla grande. Lorenzo il Magnifico, mecenate colto e valoroso, uomo d’affari un po’ meno, politico spregiudicato, emerge nel busto colossale di Pietro Torrigiano (quello che spaccò il setto nasale al litigioso ragazzo Michelangelo). È lui a proteggere Botticelli, qui in mostra con Madonne dolci e aggraziate, Cosimo Rosselli e Lorenzo di Credi, inventando una stagione d’arte negli anni 1480-90 unica nella storia europea e sfruttando i pittori per opere di propaganda personale (la famosa tela botticelliana Pallade che doma il centauro, allegoria politica).

 

Il mondo dorato degli affari fiorentini riceve però un grosso colpo dalla venuta di fra’ Girolamo Savonarola, il cui profilo ossuto ed arcuato si accampa in una tavola di autore ignoto. Il frate sconvolge con la sua predicazione apocalittica la città, e Botticelli reagisce dipingendo la favola morale della Calunnia e una tristissima, sconsolata Madonna che offre il bambino a san Giovannino: un atto di resa interiore al fuoco del Profeta che organizzerà un “rogo delle vanità” pubblico, cioè l’eliminazione dello splendore e del lusso cittadino nei suoi oggetti più “profani” (opere d’arte incluse). Ma poi ci sarà il rogo del Profeta stesso, ed in mostra ecco una tavola che è una cronaca puntuale di un supplizio ingiusto, più condanna politica che religiosa. La rassegna si ferma qui, di fronte alla morte del Savonarola e ad una presa di coscienza, forse momentanea, da parte dei ricchi: per “salvarsi l’anima”, non bastava regalare quadri alle chiese o far dire messe….

 

 

Denaro e Bellezza. I banchieri, Botticelli e il rogo delle vanità. Firenze, Palazzo Strozzi. Fino al 22/1 (catalogo Giunti editore)

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