Ieri era il giorno tanto atteso. Il cosiddetto Decreto Cutro sarebbe approdato in Senato per l’approvazione. Portava con sé un numero enorme di emendamenti: 330 dell’opposizione, 21 della Lega e un subemendamento del Governo.
Il Governo aveva annunciato la volontà di voler restringere la protezione speciale, ma questo cozzava con il rispetto dei trattati internazionali.
In Commissione Affari costituzionali non si era riusciti a un accordo e anche il fronte della maggioranza era spaccato. Dalla Presidenza della Repubblica era arrivato un richiamo che, di fatto, ha costretto il Governo a un dietro front. Tutto da rivedere, ma alla fine il Governo ha trovato la quadra.
L’emendamento proposto dalla maggioranza è stato rivisto nella sua formulazione. Si conferma però il giro di vite sulla protezione speciale, quella che consentiva l’accoglienza di persone perseguitate per vari motivi, ma che non provengono da Paesi in guerra, di coloro cioè che non hanno ottenuto la protezione internazionale. Costoro non potranno più essere accolti in Italia, il loro permesso temporaneo non potrà trasformarsi in permesso di lavoro e si potrà respingerli. Si fa eccezione solo per chi rischia di essere sottoposto a tortura o a trattamenti inumani, o che possa essere costretto ad un matrimonio non voluto.
Nella sostanza, la protezione speciale viene fortemente ristretta. Ora si attende il voto definitivo del Senato, poi il Decreto Cutro passerà alla Camera. È stato un parto difficile e il percorso non è ancora concluso. L’intenzione del Governo è chiara: rendere più difficile la permanenza in Italia, varare norme più restrittive. Di fronte ai richiami del Quirinale, Giorgia Meloni ha voluto degli aggiustamenti necessari. Attenta a perseguire i suoi obiettivi, senza però infrangere le norme dei trattati internazionali.
L’Italia del nuovo Governo di destra è questa: quella che cerca di perseguire i suoi obiettivi di limitare il numero degli accessi. Gli incidenti però non mancano. Il naufragio di Cutro pesa come un macigno, lo scontro con la Francia ha lasciato il segno. Meloni va avanti, ma con prudenza. Cercando di evitare altri passi falsi.
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