Sfoglia la rivista

Italia > Politica

Ddl Zan, quarta tappa

di Valter Marchetti

Una lettura analitica dell’art.4, “Pluralismo delle idee e libertà di scelte”, sul concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti.

L’art. 4 del Ddl Zan, derubricato “Pluralismo delle idee e libertà delle scelte”, prevede il seguente testo: «Ai fini della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti».

Evidenzio da subito come questo articolo, frutto di un emendamento presentato in Commissione Giustizia, è stato soprannominato clausola “salva-idee”, cioè di tutte le idee (alias, opinioni) correlate al sesso, al genere, all’identità di genere, all’orientamento di sesso, purché tali idee non siano idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti.

Una prima osservazione tecnico-giuridica. La “libera espressione di convincimenti od opinioni” che l’art.4 qui in esame vorrebbe tutelare, è già ampiamente salvaguardata dalla Costituzione ove al comma 1 dell’art.21 dispone: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione»; è grazie alla carta costituzionale che viene garantita in maniera piena la libertà di manifestazione del pensiero e, con tutto il rispetto per il Legislatore, non serviva un Ddl Zan (cioè una legge cosiddetta ordinaria) per tutelare questo principio (fondamentale) costituzionale che sta alla base di qualsiasi democrazia.

Cosa s’intende per “condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte”? Soprattutto a fronte del fatto che il pluralismo delle idee e la libertà delle scelte sono già oggetto di tutela costituzionale. Forse il punto debole di questa norma sta proprio in questo passaggio critico o, quanto meno, equivoco. Nel senso che anche le condotte legittime (correlate e conseguenti, appunto, a libere espressioni di idee) potrebbero essere ritenute illegittime da un giudice qualora egli ritenga che da tali condotte (legittime “a prima vista”, diciamo) possa derivare il “concreto pericolo” del compimento di atti discriminatori o violenti.

Facciamo un esempio concreto, per capirci. Una figlia (di sesso femminile) confida alla madre che lei si percepisce un uomo; la madre ritiene che la figlia sia dalla nascita e da sempre una donna e ribadisce che non potrà mai considerare la figlia come un uomo. Pur rispettando le effettive percezioni (ed orientamenti) della figlia, questa opinione della madre e le sue condotte (legittime) tutte che ne conseguono, rientrano nell’area della punibilità prevista dall’art.4 del Ddl Zan? Possiamo estendere l’esempio al mondo dell’educazione e della formazione, del lavoro: sarà davvero difficile bilanciare il diritto di esprimere liberamente la propria opinione con il detto “concreto pericolo” di inciampare (senza intenzione di offendere e, tanto meno, di discriminare nessuno, tanto meno i figli!) nell’inconsapevole “compimento di atti discriminatori o violenti” di cui parla questa norma.

Molto probabilmente, nella pratica giudiziaria, risulterà arduo per un magistrato individuare, nelle possibili fattispecie a lui sottoposte (attraverso esposti/denunce e querele), gli elementi costitutivi ed i presupposti di questo “concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti” ma, nel frattempo, l’iscrizione nel registro degli indagati ci sarà stata, così come le relative indagini di polizia giudiziaria, l’apertura di un procedimento penale (molto probabilmente destinato ad essere archiviato, appunto): ma tutto ciò non rappresenta già, di per sé, una discriminazione anzi, una sorta di condanna anticipata per? L’insigne Maestro Francesco Carnelutti, descrivendo la sofferenza del giudizio, affermava come il processo penale fosse già una pena, aspetto richiamato da Natalino Irti che ha avuto modo di descrivere la sofferenza del processo come un “soggiacere a un potere senza volto e senza nome… nell’universo delle società contemporanee, sempre più sospettose ed inquisitorie”.

Ed allora quale è, davvero, il bene giuridico che questa norma si prefigge di tutelare e di garantire? L’art.4 mischia (pericolosamente, mettendo in oggettiva seria difficoltà i magistrati che saranno chiamati a pronunciarsi su fattispecie determinate) esimente con scusante ed elementi strutturali del reato; non vi è alcuna logica giuridica nella composizione di questa norma, non vi è un netto comando giuridico così come rimane confusa (e non poco) l’area oggettiva dell’effettiva punibilità delle condotte (in ipotesi) contestate.

Il rischio (quello sì, davvero concreto!) è che detto articolo 4 possa alimentare ulteriori discriminazioni sociali, contrapponendo chi la pensa in un modo a chi la pensa in un altro (reato d’opinione, appunto), sulla base pretestuosa del possibile pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti, spesso non così facilmente (e concretamente) percepibili (o ricostruibili) da chi deve giudicare, figuriamoci dalle persone che non si occupano ogni giorno di diritto e di reati.

Insomma, la norma qui in esame non salva le idee, non salva le opinioni, non salva nemmeno la presunta vittima che dovrebbe essere qui tutelata; la vera percezione è che, questo art.4, non riesca a salvare nemmeno sé stesso da quanto è stato mal formulato.

Questo articolo potrebbe essere riformulato in maniera notevolmente più chiara e concisa (diversi illustri giuristi hanno proposto formule alternative all’attuale testo dell’art.4), senza ambiguità alcuna, al fine di evitare inutili esposti o denunce o querele, inutili indagini di polizia giudiziaria, inutili procedimenti penali, inutili archiviazioni; contrariamente, si corre il rischio di rimanere sconfitti (tutti quanti) da un diritto farraginoso che rischia di non tutelare le persone che sono vittime di reali discriminazioni e di effettive violenze.

I contenuti dell’art.4 sono profondamente contraddittori e (soprattutto) non rispettosi dei principi costituzionali e del diritto penale (principio di legalità e di offensività) e, più in generale, in antitesi rispetto a quello che dovrebbe essere l’elemento base di qualsiasi norma giuridica e cioè la chiarezza e la comprensibilità del comando contenuto nella disposizione di legge.

L’art.4 del Ddl Zan (almeno così come è formulato), non salva le idee, così come non salva le persone e ciò a prescindere dal sesso, dal genere, dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere. Occorre rivedere (con maggior cura e lungimiranza) l’intero impianto tecnico-normativo di questo disegno di legge, altrimenti rischieremo di avere una miriade di processi penali molto probabilmente destinati all’archiviazione, con sofferenza per gli indagati, gli imputati e le presunte vittime del reato (d’opinione ?) contestato.

Riproduzione riservata ©

Esplora di più su queste parole chiave
Condividi

Ricevi le ultime notizie su WhatsApp. Scrivi al 342 6466876