Dare to Care (osare la cura)

Vi proponiamo l'editoriale di Jesus Moran dalla rivista Città Nuova di ottobre
Operatori, educatori e psicologi delle case di cura stanno “reinventando” il loro modo di stare con gli anziani, per alleviare solitudine e paura.. (AP Photo/Jean-Francois Badias)

Nel mondo greco le città onoravano quei funzionari che si erano distinti nel buon esercizio dei loro doveri amministrativi con un titolo singolare: erano nominati epimeletês. La parola viene da sostantivo epimēleia, che sta per “cura”, “sollecitudine”, “attenzione” a una cosa o a qualcuno. Così si legge nell’eccellente saggio di Marta López Alonso, El cuidado, un imperativo para la bioética (Universidad Pontificia de Comillas), che ora mi permetterò di seguire, glossare e in qualche modo completare.

Secondo l’infermiera e teologa spagnola, la cura, paradossalmente, è uno dei concetti più praticati e meno pensati della storia, nonostante la grande importanza che ha avuto nel contesto della cultura greca. Il fatto è che, col trascorrere del tempo, attorno ad esso si è verificato un doppio riduzionismo che non ha giovato allo sviluppo che ne sarebbe stato doveroso: la femminilizzazione e il confinamento della cura nell’ambito strettamente medico. Ma la cura è molto di più. Forse oggi, nell’attuale crisi occasionata dalla pandemia del Covid19, è arrivato il momento di andare a fondo e mettere in evidenza tutte le prerogative di questo ricchissimo concetto antropologico.

È interessante notare che nella lingua latina il temine cura fa riferimento a cogitare, inteso come pensare. Da cui, l’attiva sollecitudine e preoccupazione per qualcosa. Ma bisogna andare alla cultura greca antica per trovare tutta la ricchezza semantica della parola che traduciamo per cura, appunto, epimēleia. Si tratta di una forma composta da mēlo, con il senso di “avere cura” o “essere oggetto di cura”. Il suo vero significato è così ampio che va dall’attenzione dei famigliari ai loro malati fino all’amministrazione dello Stato, passando per la cura del tempio, della campagna e di altri spazi della vita quotidiana.

Per i grandi filosofi greci si tratta di un concetto fondamentale, al punto da definire il loro pensiero. Infatti, per Socrate la filosofia consiste nella cura dell’anima, la cura di sé stessi, in quanto vita virtuosa e base della cura degli altri. L’ epimēleia, dunque, è indissolubilmente legata alla sophía. Per Platone, il legame fondamentale è con il bene e per questo acquista una dimensione chiaramente politica. In Aristotele il suo fondamento etico è ancora più chiaro. Per lui, epimēleia vuol dire soprattutto diligenza, nel cammino del perfezionamento di sé stessi per raggiungere la felicità.

Questi brevi spunti ci fanno costatare quanto l’antichità greca era lontana dal considerare la cura solo un’occupazione pratica, relegata alla professione medica o alle sole attenzioni femminili. Invece, l’epimēleia era tenuta in altissima considerazione come concetto e prassi integrale, sia privata che pubblica, integralità che, come dicevo, si è inesorabilmente diluita con il tempo.

Siamo in un momento particolare della storia in cui urge ricuperare quella integralità, in una sinergia forse inedita tra teoria e prassi, genio femminile e maschile, vita privata e socio-politica, attenzione alla persona umana e all’ambiente.

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