Dall’odio alla collaborazione

Bersani Tremonti

La cronaca politica, assolutamente choc, dell’ultimo scorcio dell’anno appena concluso rimane segnata indelebilmente dal volto insanguinato del presidente Berlusconi. Ma che sta accadendo?, ci si chiede sgomenti. Una parola campeggia, espressa, nei titoli di giornali, siti e trasmissioni: odio. Il suo protagonismo diventa assoluto. Eravamo partiti dal dialogo e abbiamo finito per normalizzare l’odio, renderlo in qualche modo componente della lotta politica. È evidente che si è travalicato il confine oltre il quale la politica muore.

Gli appelli del Capo dello Stato a riannodare il filo tra politica e società civile, a rispondere alla domanda di unità di tutto il Paese e farsene strumento, costituiscono il punto da cui ripartire. Ma come si può, al punto in cui si è giunti? Si può, prendendo sul serio l’altra parola che la chiamata in causa dell’odio, fatalmente, ha evocato: l’amore. È stato lo stesso presidente del Consiglio ad usare parole di cui conosciamo il significato: l’amore vince su ogni odio. Se la dialettica politica è sconfinata nella violenza dell’odio, non sarà più sufficiente (se mai lo è stato) il buonismo o la pacca sulla spalla. È necessario l’amore.

Ma occorre passare dalle parole ai fatti. Allo stato, le due controparti, nelle loro espressioni estremistiche, appaiono paralizzate da una pretesa: che l’altra parte riconosca di aver torto e ammetta le ragioni dell’altro.  Dare espressione politica all’amore, oggi, richiede, al contrario, di disarmare il cuore e fare il primo passo. Un terreno nel quale anche i semplici cittadini possono dare il loro contributo, uscendo dalle faziosità e contribuendo a ritrovare il primato dell’unità. Altrimenti, la politica contribuirà ad un nuovo, e forse estremo, inquinamento di concetti: quello sul significato di “amare”, compromettendolo alla radice col renderlo appannaggio di una parte, qualunque sia. Al contrario, se ciascuno saprà essere all’altezza, la politica avrà trovato ben più che un metodo, avrà trovato sé stessa. E la cronaca tragica diventerà storia costruttiva.

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