Dalle cose alle non-cose

Il frastuono digitale e la bellezza malinconica del reale
Biennale Architettura Italia (AP Photo/Alessandra Tarantino)

Anna aspetta un bambino. Emozionata, cerca in Rete risposte alle sue domande sulla gravidanza. Sul cellulare usa una App per future mamme, che memorizza dati medici e comportamentali su bambino, situazione familiare, idee regalo, paure e gioie. Quello che una volta si appuntava sui diari, oggi si affida alle App… che rivendono questi dati ad aziende terze. Infatti, Anna riceve pubblicità su pannolini, vestitini, latte in polvere.

Un giorno, però, con una ecografia scopre che il feto non è più vitale. Immersa in un dolore indicibile, continua a ricevere gioiosa pubblicità per neo-mamme. Fino al giorno in cui cominciano ad arrivare proposte per l’adozione! La macchina pubblicitaria ha ricevuto la notizia dell’ecografia negativa. Anna si sente violata, esposta, vulnerabile. Le donne incinte sono le più tracciate dal marketing.

Scuola
Una volta per copiare si passavano i bigliettini. Ora con i cellulari è facile fotografare i quiz e inviarli all’esterno per ricevere le risposte. Ci sono App che risolvono i problemi matematici, per non parlare del “copia e incolla” da Wikipedia. Peccato che ci siano anche programmi progettati per “beccare” chi copia e sorvegliare gli studenti, mentre le tecnologie di riconoscimento facciale entrano nelle scuole di tutto il mondo (business miliardario).

Prevedono lo stato d’animo dei bambini e individuano gli studenti a rischio disciplinare o pedagogico. Stabiliscono piani di apprendimento personalizzati e decidono il percorso di vita futuro dei ragazzi, sulla base di comportamenti e scelte di oggi. Senza la libertà di crescere, cambiare e sbagliare. Senza possibilità di dimenticare i propri errori. Tecnologie simili sono usate anche dai datori di lavoro per sorvegliare gli impiegati che lavorano da casa. Ma queste tecnologie, sviluppate da aziende private, possono sbagliare? Chi le controlla?

Famiglia
Sono arrivati gli assistenti virtuali come Alexa e Hey Google. I bambini ci giocano (i nonni dove sono?) e fanno domande, affascinati da un senso di intimità artificiale (Veronica Barassi, I figli dell’algoritmo, Luiss 2021). Ma quali saranno le conseguenze per la loro psiche? Questi oggetti, tra l’altro, registrano voci e suoni, stravolgendo l’intimità della famiglia.

Spostamenti, abitudini, relazioni sociali, paure e pensieri della famiglia sono registrati, aggregati, scambiati, venduti e rivenduti. Le tracce digitali dei bambini sono usate per costruire profili che li seguiranno tutta la vita (ius algoritmi?). Chi siamo, la “verità” su di noi, è in mano a processi e sistemi di sorveglianza che veicolano preconcetti culturali e precise visioni del mondo, e non possiamo controllare.

Mondo digitale
Dunque, aziende private ed enti pubblici sanno cosa facciamo, dove andiamo, cosa votiamo, come ci divertiamo, chi frequentiamo. Usano dati e immagini per prendere decisioni sulla nostra vita. Gli algoritmi ci danno un punteggio di affidabilità fiscale, decidono quanti anni di prigione devono scontare i condannati, sorvegliano i carcerati col “riconoscimento emotivo”. Sui social identificano gli elettori indecisi e ne manipolano i comportamenti, classificano i nuclei familiari in base a reddito, religione, scelte politiche, abitudini sessuali, risultati scolastici, amicizie, lavoro, indirizzo. Se appartengo a una classe a rischio, la mia polizza sarà più alta, la banca non mi darà il prestito, l’imprenditore non mi assumerà. È l’ingiustizia sociale automatizzata.

Contromisure
Proprio perché il digitale è ormai il nostro inseparabile compagno di viaggio, dobbiamo imparare a conviverci con intelligenza. E infatti le istituzioni iniziano a prendere le misure al Far west dei dati personali. L’Unione europea è all’avanguardia nel mondo, con incisive proposte di Regolamenti che pongono precisi limiti in questo settore, come per esempio il divieto di “sistemi di credito sociale”. Ma questo non basta, credo sia altrettanto importante la riflessione sull’impatto del passaggio da reale a digitale sulla nostra vita e identità.

Libri e foto
Prendiamo un libro di carta: lo tocco, lo sfoglio, lo leggo, lo rileggo, lo segno, creo un legame con questo “mio” oggetto, riempiendolo di senso. Un ebook invece non ha storia, non consente un legame, è solo una copia digitale come tante altre, senza «età, luogo, lavoro manuale e proprietario» (Byung-Chul Han, Le non cose, Einaudi 2022). Prendiamo una foto stampata su carta: mentre la osservo con calma, mi chiama, istaura un dialogo con me, mi ricorda un momento, una storia, un destino. È silenziosa, ma piena di potenza espressiva. Più difficile farlo con una foto memorizzata su cellulare o pc: è effimera, «senza spessore temporale, senza ambizione romanzesca». Destinata ad essere presto dimenticata, perché sostituita dall’ultimo selfie allegro (perfezionato in automatico dall’algoritmo), ma privo della “bellezza malinconica” della natura reale. Senza fotografie analogiche (di carta) rischiamo di perdere i ricordi, i destini, le storie.

Stabilità
Il problema è che la nostra vita e la nostra identità per essere in equilibrio hanno bisogno di senso, di stabilità. Gli oggetti e “le verità” sono i punti fermi dell’esistenza, stabilizzano la vita umana. Ma hanno bisogno di tempo, di silenzio, di uno sguardo lungo, di una riflessione, di un legame. Invece oggi, assetati di emozioni e “sorprese”, inseguiamo con frenesia oggetti di consumo e informazioni digitali. Queste “non-cose”, come le chiama Byung-Chul Han, non ci stabilizzano, perché non vi penetra «quasi nulla della nostra vita».

Senza tempo e contatto fisico non emergono legami. Anche l’Intelligenza artificiale (IA), oggi di moda, è «apatica, senza passione, senza cuore». Non può pensare perché le manca la dimensione affettiva. Invece il nostro pensiero è sempre legato a un contatto col mondo, a una commozione, a un ricordo. Il pensiero umano «ascolta, anzi origlia, tende l’orecchio. L’IA è sorda. Non percepisce quella “voce”».

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Tutto ciò che s’affretta è condannato alla scomparsa. (Byung-Chul Han)

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