Dal Sessantotto alla popolocrazia

Il dibattito aperto su un passaggio importante della nostra storia recente. Oggi la democrazia immediata dei “social” rischia di ridurre la politica all’immediato, senza progetto, senza visione di futuro. Era questo il sogno del Sessantotto?

Cosa resta del Sessantotto? Paolo Pombeni sostiene che l’eredità del movimento studentesco sta in quel “grido” ancora attuale che lancia una sfida per il cambiamento epocale. La carica contestataria a scuola, all’università, nel mondo del lavoro, nella Chiesa, nelle famiglie con l’emancipazione femminile, ha tracciato un segno irreversibile. “Un grido profetico”. Oggi si attendono le risposte vere dopo quelle errate e superficiali, in molti casi, date negli ultimi decenni. Il Sessantotto fu l’inizio di una trasformazione ancora in corso. La transizione storica sta modificando le coordinate della “modernità”. Anche se allora si rispose alle esigenze dei giovani in modo a volte velleitario che ne compromise gli esiti potenzialmente positivi, il Sessantotto ha anticipato ed accompagnato quel cambiamento d’epoca che rappresenta la sfida contemporanea. È ora di tornare all’impegno come quella generazione che aveva intuito la complessità del futuro per conquistarne uno diverso e migliore. I giovani di oggi, forti delle conquiste del Sessantotto contro ipocrisie e autoritarismo, possono evitare gli errori di allora e non cadere nella frustrazione o rifugiarsi in una utopia senza sbocchi.

Alla domanda simbolica di liberazione del Sessantotto ha risposto il capitalismo con una promessa di autorealizzazione vista in termini prettamente individualistici. Da questa liberazione dell’Io deriva l’indebolimento sistematico dei legami sociali, l’atomizzazione sociale, l’aumento della sofferenza psichica e la perdita di senso, fino ad arrivare ad uno “spazio estetico mediatizzato” (Magatti 2012), di cui Internet rappresenta l’emblema.  In questo spazio si inserisce il narcisismo, secondo Giovanni Orsina, in La democrazia del narcisismo. Breve storia dell’antipolitica, Marsilio 2018, come tratto tipico della società secolarizzata e appagata dal boom economico, a partire dagli anni Sessanta.

Nasce un individuo libertario come una monade isolata, racchiusa in un presentismo che esclude ogni progetto a lungo termine. Anche se il Sessantotto ha indossato inizialmente una veste politica, presto il narcisismo prende il sopravvento conducendo ad una decomposizione del politico. Si verifica un vero e proprio “suicidio delle élite”, colpevoli di aver assecondato la spinta individuale narcisistica attraverso il feticcio dei diritti per la sinistra e del mercato per la destra, cedendo il potere alla tecnocrazia ed a organismi giudiziari. La politica è diventata il capro espiatorio dell’inappagabile desiderio illimitato del cittadino-narcisista. Risultato: insoddisfazione permanente della massa degli elettori dopo la grande crisi della globalizzazione del 2008 fino ai nostri giorni. Entra in crisi la democrazia rappresentativa con la sfiducia dei ceti medi impoveriti e degli operai verso la élite ed i partiti dell’establishment.

La dinamica politica, dopo il Sessantotto e la fine della Prima e della cosiddetta Seconda Repubblica, è diventata elementare: i “buoni” contro i “cattivi”, quelli in basso contro quelli in alto, il popolo contro le élite. Gli spiriti e le pratiche politiche sono stati “popolizzati”. Risorge il mito della vera democrazia basata sul “popolo autentico”. In questo modo è minata alla base la democrazia rappresentativa che si accinge a diventare “popolocrazia” secondo Ilvo Diamanti e Marc Lazar in Popolocrazia. La metamorfosi delle nostre democrazie. Laterza 2018.

In fasi di crisi e di grandi incertezze si manifestano varie forme di populismo. I governanti, le istituzioni, le consuete procedure di mediazione parlamentare con i corpi intermedi vengono delegittimati. In questo contesto le forze anti establishment possono prosperare intercettando il profondo malessere e dipingendo un quadro apocalittico. Annunciano poi un futuro radioso dopo la cacciata dei corrotti. La democrazia può rispondere assorbendo quote di populismo di governo nel linguaggio politico, nei modelli di partito basati su leader in rapporto diretto con il popolo. Rischia di trasformarsi così in popolocrazia. Le tensioni sociali ed il malessere sono trasferiti in politica mediante “salvatori” e soluzioni semplici, oltre destra e sinistra. È il trionfo dei popoli e dei populismi contro i politici di professione. Si invoca la democrazia diretta in una generale sfiducia verso partiti, Parlamento, Europa, Regioni e Comuni.

In una società immediata, in parte erede del Sessantotto, si invoca una democrazia immediata. Si esaltano social e altri media, rapidità, decisionismo e comunicazione rispetto a studio dei problemi complessi e soluzioni condivise. Si sfrutta politicamente la paura del futuro, dell’Islam e degli immigrati.

La popolocrazia afferma una preminenza assoluta del popolo sovrano e critica la democrazia rappresentativa a partire da Jean Jacques Rousseau. Mediante la personalizzazione e presidenzializzazione finisce per indebolire la mediazione fra il Demos, la società, i cittadini e il Kratos, cioè il governo, e l’autorità. Effetto non certo desiderato dal Sessantotto. Ritornano i capi politici, leader senza partito. La democrazia del pubblico, la democrazia immediata dei Social rischia di ridurre la politica all’immediato, senza progetto, senza visione di futuro. Non era questo il sogno del Sessantotto. Lo slancio vitale del maggio “68”, secondo Bruno Forte, si pone ancora oggi tra storia e futuro con una carica di cambiamento che passa attraverso la partecipazione collettiva e dei giovani in particolare, gli ideali, la politica, la lotta contro una società ingiusta, conformista e contro l’autoritarismo sempre pronto a riemergere. Una prova di questa vitalità può oggi essere colta nelle parole e nei gesti di papa Francesco: « Il cammino è metafora che rivela il senso della vita umana, di una vita che non basta a sé stessa, ma è sempre in cerca di qualcosa di ulteriore… Occorre rinunciare a tante strade per scegliere quella che conduce alla meta e ravvisare la memoria per non smarrirla….Camminare richiede l’umiltà di tornare sui propri passi, quando è necessario, e la cura per i compagni di viaggio, perché solo insieme si cammina bene. Camminare, insomma, esige una conversione continua di sé» (21 giugno 2018, Consiglio Mondiale delle Chiese).

Il Sessantotto tradito dalle élite con l’edonismo-narcisismo dei decenni trascorsi può riprendere il suo cammino all’insegna del Vangelo e della democrazia partecipativa e deliberativa con sogno collettivo e impegno quotidiano.

 

 

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