Da marito a moglie

La vittoria elettorale di Cristina Kirchner, moglie del presidente ormai uscente degli argentini è stata a dir poco una goleada, tanto per usare un termine calcistico: 46 per cento dei voti a più di 20 punti di vantaggio sulla seconda concorrente. Una vittoria nel segno della continuità della gestione di Néstor Kirchner, colui che, a partire dal 2003, ha traghettato il Paese nella seconda fase seguita alla terribile crisi istituzionale ed economica del 2001. Cristina, come famigliarmente ormai tutti la chiamano, non ha dovuto fare gran che per condurre in porto una campagna elettorale segnata dalla povertà dei dibattiti. La neoeletta presidente non ha fatto altro che esibire i risultati, peraltro evidenti, della gestione di suo marito, mentre l’opposizione, divisa e forse preda di troppi personalismi, non ha saputo articolare un chiaro discorso alternativo. E dire che argomenti non gliene sarebbero mancati, primo fra tutti l’uso e l’abuso di Kirchner dei decreti di necessità e urgenza grazie ai quali è stata praticamente neutralizzata l’azione del potere legislativo, oggi virtualmente inattivo. Oppure la discrezionalità e l’arbitrarietà con la quale in questi anni il governo ha disposto, grazie alla delegazione di poteri speciali, delle spese di bilancio. Circa un sesto della spesa viene utilizzata senza controllo alcuno del parlamento. In campo economico ci sarebbe anche stato da dire: manca un programma che conduca l’Argentina verso forme di sviluppo che tengano conto delle sue potenzialità. In quattro anni l’economia à andata avanti grazie al vento in poppa dei prezzi internazionali, soprattutto petrolio e prodotti agricoli, primo fra tutti la soia. Una specie di pilota automatico che ha funzionato grazie al tipo di cambio ed alla spinta delle esportazioni. Ma quanto può durare il vento in poppa? Proprio in materia economica, la coppia Kirchner ha avuto nelle mani la carta vincente. Perché è pur vero che i risultati ottenuti sono importanti. Durante il mandato che scade il prossimo 10 dicembre, il prodotto interno lordo è cresciuto a ritmi elevati, intorno all’8 per cento; questa crescita è stata accompagnata dalla creazione di milioni di posti di lavoro (un dato non sempre scontato in economia), le esportazioni sono raddoppiate e la bilancia commerciale segna un attivo vicino ai 10 miliardi di dollari all’anno. E la povertà è scesa dal 50 al 25 per cento circa. I segni di ripresa sono dunque evidenti, nascono continuamente nuove aziende, e le riserve della banca centrale sono oggi il doppio rispetto a quattro anni or sono. Kirchner passa il testimone a sua moglie sapendo che se avesse tentato un secondo mandato lo avrebbe ottenuto con una votazione probabilmente ancora più plebiscitaria di quella ottenuta da Cristina. Al punto tale che la nuova presidente assumerà i pieni poteri senza aver presentato un programma di governo. Il che non è necessariamente una buona notizia. Saprà o potrà Cristina far meglio di suo marito? Determinazione e carattere non le mancano, lo ha dimostrato durante gli anni in cui è stata senatrice. La sfida più grande sarà quella di trasformare il vento in poppa in una navigazione a motore: trasformare la buona congiuntura in una forma di sviluppo sostenibile. L’altra sfida, non meno importante, sarà quella di migliorare la qualità della vita democratica argentina, rafforzando le istituzioni e superando le tentazioni egemoniche che sorgono da tanto, troppo, potere accumulato dalla famiglia Kirchner. Il traguardo dovrebbe, o potrebbe, essere quella coesione sociale che oggi è il grande deficit non solo dell’Argentina, ma di tutta l’America Latina.

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