Cristina Kirchner, condanna senza pena

Pubblicati i fondamenti della condanna in prima istanza inflitta all’attuale vicepresidente (ed ex presidente) dell’Argentina. Cristina Fernández de Kirchner si dice vittima della persecuzione di quello che chiama il «partito giudiziario». Protetta da immunità, non sconterà la pena di sei anni di carcere fino alla fine del mandato
Kirchner
La vicepresidente argentina Cristina Fernandez ringrazia i sostenitori mentre lascia la sua casa a Buenos Aires, Argentina, martedì 23 agosto 2022, dopo la richiesta dei pm di condannarla a 12 anni di carcere per frode allo Stato nell'assegnazione pilotata di appalti per opere pubbliche (Foto AP/Rodrigo Abd)

Amministrazione fraudolenta ai danni dello Stato. Per questa imputazione è stata condannata in dicembre Cristina Fernández de Kirchner (CFK), vicepresidente argentina in carica. I motivi dell’inedita, per il Paese, condanna di un governante in carica, sono stati pubblicati dal tribunale giovedì 9 marzo.

Secondo i giudici si è dimostrata la frode allo Stato ma non l’associazione illecita. Di qui i 6 anni di reclusione anziché i 12 richiesti dai pm. Le parti ricorreranno in Cassazione, e CFK non andrà in carcere: la protegge l’immunità assegnata alla sua funzione, almeno fino al 10 dicembre di quest’anno, quando entreranno in funzione il nuovo presidente e il suo vice.

Ma la sentenza e le sue reazioni hanno un forte impatto sulla politica e sulla società, polarizzata dalla grieta (crepaccio) che separa la società argentina in sostenitori o detrattori del kirchnerismo.

«Uno Stato parallelo», «il partito giudiziario», «una mafia»: così l’accusata definisce la magistratura che le sarebbe avversa e che comprende, oltre ai giudici che l’hanno condannata in questo processo, denominato Vialidad (viabilità), anche i pm di altri 4 procedimenti giudiziari in corso. Una persecuzione che sarebbe giunta ora al culmine: la proscrizione del suo movimento, intenzione che secondo i suoi fedelissimi è manifesta in questa prima sentenza contro di lei.

Cristina Kirchner
Un lavoratore mostra un segno di vittoria, che rappresenta il partito peronista, mentre dipinge un murale dell’ex presidente argentino Nestor Kirchner su un edificio governativo vicino al tribunale federale di Buenos Aires, Argentina, martedì 15 febbraio 2022. (Foto AP/Rodrigo Abd)

Per i giudici, nelle sue due presidenze (dal 2007 al 2015) CFK favorì l’assegnazione pilotata di 51 contratti per opere pubbliche – in maggioranza incompiute o mai realizzate – a Lázaro Báez, un amico della famiglia Kirchner. Pochi giorni prima dell’inizio della presidenza di Néstor Kirchner (ex presidente e marito di CFK), Báez, un bancario senza alcuna esperienza nel settore delle infrastrutture, aprì un’azienda a Santa Cruz, provincia di origine e roccaforte politica dei Kirchner.

Il neo imprenditore avrebbe poi destinato parte dei guadagni (arricchiti da plusvalenze) ad aziende di proprietà dei Kirchner che lui stesso amministrava. Un decreto del 2009 dell’Esecutivo sarebbe poi servito, secondo i giudici, come «strumento per la manovra criminale». Il provvedimento ha infatti inserito tra i beneficiari di un fondo di garanzia la Direzione Nazionale delle Infrastrutture Stradali (o “Vialidad”, da cui il nome attribuito al processo). In questo modo «ha fornito all’ente una fonte illimitata di finanziamento che ha facilitato il processo di pagamento» ed ha «essenzialmente permesso un contesto di opacità sufficiente» per poter «decidere liberamente quali contratti sarebbero stati pagati con le risorse del fondo».

Báez sta già scontando 12 anni di prigione per riciclaggio, e anche un altro degli 8 condannati è già in carcere. Si tratta dell’ex sottosegretario alle Opere Pubbliche, José López, noto per essere stato visto nel 2016 mentre lanciava borse piene di contanti oltre il muro di un convento.

Che succederà adesso? Dopo la lettura della sentenza, il 9 dicembre, Cristina Kirchner – vittima di un tentato omicidio in settembre – aveva dichiarato in un videomessaggio che non si sarebbe candidata alla presidenza nel 2023, né al Senato. Lo potrebbe fare, perché la condanna di interdizione non è definitiva, e non andrà in prigione per lo stesso motivo, mentre i tempi per le istanze giudiziarie mancanti sono di almeno un anno ciascuna. CFK ha inoltre compiuto 70 anni e quindi potrebbe casomai scontare la pena agli arresti domiciliari. La possibilità di un indulto presidenziale esiste, ma il presidente Alberto Fernández l’aveva scartato già in campagna elettorale. In ogni caso sarebbe una decisione politica molto controversa, oltre che inapplicabile secondo alcuni esperti.

Altra faccenda sono le conseguenze politiche della condanna. Le reazioni dei suoi sostenitori hanno perso la forza di un tempo, per il calo di consensi e per altri fattori politici, anche se le espressioni dei leader del movimento kirchnerista cavalcano l’accusa della proscrizione basandosi su vizi politici e mediatici di una sentenza che considerano senza fondamento.

È probabilmente la coerenza con questa visione che ha spinto la vicepresidente ad escludersi dalla prossima competizione elettorale: se la mia è una condanna politica, non ci sono le condizioni per una gara leale.

Il suo partito accuserà quindi di illegittimità il processo per l’elezione presidenziale attualmente in corso, perché una sentenza persecutoria avrebbe slealmente tolto di mezzo una possibile candidata.

Di conseguenza, considererà illegittimo il governo che sorgerà da questa consultazione? Se lo chiede l’analista Claudio Jaquelin su La Nación.

Cristina Kirchner
Il presidente argentino Alberto Fernandez, a sinistra, con la vicepresidente Cristina Fernandez prima di rivolgersi alla nazione alla sessione annuale di apertura del Congresso a Buenos Aires, Argentina, mercoledì 1 marzo 2023. (AP Photo/Natacha Pisarenko)

Il peronismo in quanto tale non lo farà mai, perché ha più anime e non può permettersi di sposare completamente questa tesi; che comporterebbe l’autoesclusione dalla corsa elettorale per collocarsi all’opposizione del futuro governo, al quale darebbe così partita vinta, per poi riprovarci dopo 4 anni. Tanto più che il presidente del partito è l’attuale presidente della Repubblica, Alberto Fernández, che non gode della fiducia unanime del kirchnerismo. Alberto Fernández guida le sorti del Paese grazie a un’abile mossa di CFK, che l’ha proposto come candidato in grado di attrarre i voti di chi nel suo partito riteneva la candidatura della Kirchner troppo divisiva. Fernández ha dovuto districarsi non poco per mostrarsi allineato ma non troppo alla sua ingombrante vice, poiché un’identificazione esplicita lo avrebbe assimilato a lei, accusata di corruzione ma considerata bandiera dei settori popolari e lontana dalla classe media e da un’importante fetta di elettorato. Prova di ciò sono state le timide reazioni presidenziali alla pubblicazione dei fondamenti della sentenza Vialidad.

Allora il kirchnerismo non presenterà canditati alla presidenza? Chiamerà all’astensione? O candiderà forse il ministro dell’Economia Sergio Massa, finora molto accorto nel non immischiarsi nelle discussioni giudiziarie relative alla Kirchner? Il kirchnerismo potrà rinunciare a CFK, l’unica figura che ancora oggi riesce a convocare moltitudini, aggregare i principali sindacati e parlare ai ceti popolari? Il rebus è tutto da decifrare.

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