Cristiani in Europa

Le riflessioni di Herman Van Rompuy, presidente del Consiglio europeo. 
Van Rompuy

Tra i tanti leader europei, Herman Van Rompuy è uno dei meno conosciuti dal grande pubblico, pur ricoprendo una delle cariche più importanti dell’Unione europea. Forse perchè preferisce lavorare, più che passare il tempo a rilasciare interviste a giornali e tv.

Dopo una recente riunione di leader religiosi ortodossi, cattolici, ebrei, musulmani e buddhisti a Bruxelles, ha fatto alcune considerazioni sul ruolo dei cristiani in Europa, di cui riportiamo una sintesi, che lui stesso ha voluto rivedere per Città Nuova.

 

«La prima Comunità europea del carbone e dell’acciaio nacque dallo spirito di pace e riconciliazione che seguì la Seconda guerra mondiale con i suoi milioni di morti. Perdonare e riconciliarsi – temi importanti nella tradizione cattolica – sono le cose più difficili da fare nella vita, richiedono una conversione, una trasformazione. Nel Benelux, in Germania, in Francia e in Italia a quel tempo erano al potere i democratico-cristiani, con, tra gli altri, Schuman, De Gasperi e Adenauer, disposti a fare l’enorme passo di voltare pagina e ricominciare, anche con la Germania occidentale.

 

«Anche adesso pace e riconciliazione sono concetti attuali. Non tanto per i giovani dell’Europa occidentale che debbono apprendere di seconda mano i racconti sulla guerra. La coscienza che un tempo le cose andavano diversamente è ormai scomparsa dalla nostra cultura, l’odierna “società dell’istante” non favorisce la coscienza storica. Ma nell’Europa dell’Est è diverso, perché guerra fredda e regime comunista sono ancora presenti nella coscienza collettiva. Nella ex Jugoslavia, per esempio, si è combattuta fino a quindici anni fa una guerra civile, con atti di genocidio. Quei Paesi sognano di poter far parte prima o poi dell’Unione europea. L’idea di Europa, associata a pace e riconciliazione, là è molto viva.

 

«Dobbiamo quindi vigilare per conservare questi valori originali: l’idea europea si basa sul concetto di unità nella diversità. In questo momento ci sono 27 Paesi, con 27 storie diverse e 23 lingue, che noi in qualche modo dobbiamo far collaborare. Attualmente questo avviene soprattutto a livello di istituzioni. La grande sfida è riuscire a realizzare l’unità nella diversità anche a livello della vita quotidiana dei cittadini. Per vivere la multiculturalità bisogna però riconoscere il valore di una sorta di radice comune: democrazia politica, Stato di diritto, uguaglianza tra uomo e donna, separazione tra Stato e Chiesa. Non si può costruire una società se non si accetta quell’unica civiltà. Ci può essere però una società in cui esistono diverse culture e religioni, con diverse lingue e stili di vita. Su questo si deve essere tolleranti.

 

«In una società troppo frammentata può comunque nascere un’aggressività elevata. L’idea del “capitale sociale” va perciò rafforzata. Grazie all’impegno per la costruzione della comunità e alla creazione di un sentire comune si combatte il pensiero incentrato sull’ostilità. In questo le religioni possono svolgere un ruolo importante perché sono tradizionalmente focalizzate sull’altro, sulla solidarietà tra gli uomini.

 

«Quando il presidente Gorbaciov durante il periodo della glasnost fece visita a papa Giovanni Paolo II e gli chiese di contribuire alla ricostruzione morale della Russia, egli non fece altro che lanciare un appello al cristianesimo per il riarmo morale contro il regno della menzogna del periodo precedente.

 

«Bugie ed apparenza caratterizzano anche la nostra società mercificata. Qui il cristianesimo può dare un contributo. Verità ufficiali e astratte vengono infatti accettate sempre meno. Ognuno stabilisce per sé stesso ciò che è vero. In una tale cultura la testimonianza delle persone è di grande importanza, perché non si crede più in verità generali, ma solo in persone reali che incarnano quelle verità.

 

«L’Europa ha bisogno di persone che con atteggiamento positivo vogliano costruire qualcosa insieme senza vedere l’altro come un nemico. Per questo la democrazia necessita di una base morale e spirituale. Su questo piano i cristiani debbono giocare un ruolo importante. Personalmente sono un grande fautore della separazione tra Stato e Chiesa, ma non di una spaccatura tra fede e mondo. Vi è attualmente un gran desiderio di spiritualità trascendente, ma anche, più che mai, dell’impegno del cristiano nel mondo».

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