Cristiani e musulmani sciiti, un’esperienza di dialogo

Ali dell’unità (Wings of Unity): un progetto avviato 25 anni fa e ancora forte. Nato nel silenzio, senza alcuna pretesa di spaccare i canali mediatici, tra studiosi cristiani e musulmani sciiti, impegnati a conoscersi nelle rispettive culture e religioni mirando ad una finalità per niente scontata: Unità in Dio e unità di Dio  
Dialogo Isamo cristiano foto Catalano

Sono reduce da una settimana impegnativa e stimolante con un gruppo di nove musulmani sciiti. Una esperienza, i cui prodromi risalgono a venticinque anni fa, ma che, nell’ultimo decennio, ha conosciuto una decisa sterzata verso un impegno comune a costruire una cultura dell’incontro. È in questo contesto che è nato il progetto che loro stessi hanno voluto definire come Wings of Unity, ali dell’unità.

Giustamente, dicono, per volare sono necessarie due ali. Lo stesso vale nella nostra società odierna. Nessuno può volare o, nemmeno, vivere da solo: ha bisogno degli altri. Questo progetto, nato nel silenzio e senza pretendere di spaccare i canali mediatici, ha, fino ad oggi, realizzato dodici incontri di studiosi musulmani sciiti e cristiani che si sono impegnati a conoscersi nelle rispettive culture e religioni mirando ad una finalità per niente scontata: Unità in Dio e unità di Dio.

Significa sperimentare uno spirito di fratellanza rispettando la sensibilità cristiana che, nella sua dimensione trinitaria, considera una unità di Dio in Dio, e, allo stesso tempo, la prospettiva musulmana dell’assoluta unità e unicità divina. Non si tratta di discorsi astratti e teologici che nulla hanno a che fare con la vita quotidiana. I protagonisti vivono insieme per alcuni giorni, rispettando le diverse caratteristiche culturali e religiose – comprese quelle rituali – aprendosi ad accettare l’altro con tutta la sua diversità non tanto come una minaccia o un pericolo, ma come una ricchezza.

Dal 2017, si sono, poi, organizzate quattro Week of Unity (settimana dell’unità) che hanno coinvolto sulle Dolomiti, presso l’Istituto Universitario Sophia, a Nairobi e in Svizzera giovani cristiani e musulmani sciiti provenienti da diverse parti del mondo. Si è trattato di scuole di formazione, e oserei dire di trasformazione, perché nessuno dei partecipanti ne è uscito indenne.

Alla fine, ciascuno si rende conto di quanto il contatto fraterno con persone di altre fedi e culture può trasformare esistenzialmente, interiormente e, anche, intellettualmente. Ovviamente, non sono state, fino ad oggi, le masse che hanno potuto partecipare a questi programmi. Tuttavia, chi ha avuto l’occasione di farlo ne è uscito veramente trasformato e si è fatto promotore di questo tipo di processi nel suo contesto.

Devo ammettere la mia personale e iniziale incredulità ad immaginare una trasformazione in persone sia di fede e cultura sciita che cristiana – soprattutto cattolica, ma non solo – al termine dei pochi giorni di questi incontri, organizzati congiuntamente dall’Istituto Universitario Sophia e dal Risalat Institute di Qum, in Iran.

Come dicevo in apertura, sono reduce dall’ultima di queste settimane, la quarta realizzata presso il nostro istituto Universitario Sophia. E, ancora una volta, mi sono reso conto degli effetti che ha procurato nei nostri studenti. Un giovane francese, assolutamente a digiuno di esperienze di dialogo, nel pomeriggio in cui abbiamo concluso il programma mi ha chiesto un appuntamento immediato ed è ripartito dal mio ufficio con una pila di libri sul dialogo e con la chiara decisione di scrivere un progetto sull’incontro fra Oriente e Occidente. Una studentessa asiatica mi diceva che da ora non potrà guardare alle persone delle diverse culture e religioni nello stesso modo.

È bene precisare che questa giovane donna vive in un Paese dove le religioni sono tutte ugualmente perseguitate e il cristianesimo rappresenta una piccola minoranza. Un africano che sta partendo per un altro Paese per una specializzazione in psicologia mi ha detto che vuole esaminare l’impatto dialogico sulla psicologia.

Un’italiana mi ha confidato che sono esperienze come Wings of Unity che interessano a questa generazione di studenti e che partecipare a questi momenti fa prendere coscienza di essere formati per gestire e vivere nel mondo di oggi e di domani. Ma quello che più mi ha impressionato è stata l’esperienza di uno studente anglosassone alla sua terza Week of Unity, che ha raccontato come avesse partecipato alla prima senza avere alcun riferimento religioso e nemmeno un interesse verso Dio. A contatto con giovani musulmani credenti e coerenti con la loro fede, ha cominciato a porsi alcune domande che lo hanno portato alla fede cattolica e, successivamente, alla decisione di una consacrazione laica.

Wings of Unity si è concluso questa settimana con una giornata di incontro dei leaders del gruppo musulmano con alcuni professori del Centro Studi dei Focolari, chiamato Scuola Abbà, che si propone di studiare, approfondire e spiegare l’esperienza mistica di Chiara Lubich.

La giornata di incontro e confronto ha permesso di comprendere come per un’adeguata comprensione e valorizzazione di queste esperienze non è sufficiente un ‘orecchio’ cristiano. Sono necessari altri ‘occhi’ e altre ‘orecchie’ che permettano di cogliere tutta la ricchezza di esperienze che, in un mondo globalizzato – anche spiritualmente e religiosamente –, non possono essere apprezzate e valorizzate solo all’interno della rispettiva tradizione culturale e religiosa di origine.

Mi sono tornati alla mente i commenti di un amico rabbino, che qualche settimana fa, discutendo sulla drammatica situazione in Israele e Gaza, mi diceva: «Dobbiamo ricominciare da capo per costruire una cultura della pace. L’unica via è la formazione nelle scuole e nelle università dell’attuale giovane generazione». E Wings of Unity è una goccia nel mare dell’impegno che cerca vie di pace e dialogo. Una goccia, ma determinata a continuare nel suo cammino.

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