I covi di Messina Denaro e gli interrogativi sulla latitanza

Un appartamento in pieno centro, anzi tre. Una cena da 700 euro, viaggi all’estero, l’acquisto di un’auto. La latitanza dorata del boss di Castelvetrano fuori dai canoni classici: non rifugi in zone inaccessibili, ma appartamenti normali e qualche cenno importante di vita sociale. Ma nessuno lo ha mai riconosciuto e denunciato. I mille dubbi sulla vita del boss soprattutto nell’ultimo anno
Matteo Messina Denaro
Alcune fotografie di ritrovamenti nel covo di Messina Denaro: nell'ultimo covo di Campobello di Mazara il boss collezionava oggetti legati alla saga dei Corleone (Foto Ufficio stampa Carabinieri - LaPresse) DISTRIBUTION FREE OF CHARGE - NOT FOR SALE

Una latitanza sui generis, così lontana dagli stereotipi a cui siamo abituati, che scatena tanti interrogativi. Il boss viveva a Campobello di Mazara, a pochi chilometri dalla sua città natale, Castelvetrano. Gli inquirenti hanno scoperto tre covi, tutti a breve distanza l’uno dall’altro. Nel primo, dove il boss viveva attualmente, sono stati trovati documenti importanti. Lo stesso è accaduto nel secondo covo, un vero e proprio rifugio bunker: una parete di legno a scorrimento dietro un armadio permetteva di accedere ad altre stanze nascoste, blindate. Qui sono stati trovati dalla Guardia di Finanza gioielli, pietre preziose, ma anche documenti importanti che ora saranno passati al vaglio degli inquirenti. E ancora scatoloni vuoti, segno che probabilmente dei documenti sono stati portati via, non si sa ancora se prima o dopo l’arresto di Messina Denaro. L’immobile è di proprietà di un ex consigliere comunale di Campobello. Nel terzo covo sono entrati in azione gli uomini della Polizia. Ma era un appartamento interamente vuoto e ormai ripulito, addirittura già posto in vendita. Il proprietario da quarant’anni risiede in Svizzera. A questa casa gli inquirenti sono risaliti grazie alla testimonianza di chi ha eseguito il trasloco, nel giugno scorso, da qui all’appartamento di via San Vito: il primo covo ad essere scoperto, dove il boss ha abitato certamente negli ultimi sei mesi, e in cui gli uomini del Ris continuano a lavorare. Qui sono state trovate anche tracce di presenze femminili, probabilmente non occasionali; e i documenti della vettura, una Alfa Romo Giulietta, che sarebbe stata acquistata personalmente dal boss in una concessionaria di Palermo intestandola alla anziana madre di Andrea Bonafede – l’uomo che ha prestato al boss di Castelvetrano l’identità e i documenti -. Ci sono anche tracce importanti di viaggi all’estero di Matteo Messina Denaro. Nessuna traccia invece del famoso dossier di Totò Riina, che la vulgata popolare vuole gli sia stato affidato proprio da “u curtu” . Se veramente quelle carte esistono, potrebbero ancora trovarsi in un luogo sicuro.

Ciò che questi covi potranno rivelare – o almeno i primi due – è ancora presto per dirlo. Carte, appunti, gadget sul film “Il Padrino”, lettere, numeri di telefono, potranno far fare passi importanti alle indagini soprattutto per scoprire la rete di fiancheggiatori che hanno aiutato Messina Denaro durante la sua latitanza. Si indaga sui medici che lo hanno curato, su coloro che lo hanno aiutato forse senza conoscere la vera identità, ma anche sulla fitta rete di connivenze massoniche che nel trapanese hanno giocato da sempre un ruolo di primo piano. Era massone ed apparteneva al Grande Oriente d’Italia il medico Alfonso Tumbarello, che ha curato Messina Denaro nell’ultimo periodo sotto il nome di Andrea Bonafede. Il medico è stato subito espulso, con un provvedimento è stato firmato dal Gran Maestro del GOI Stefano Bisi.

Ma alcuni dati emergono con forza: il boss abitava in pieno centro, senza particolari coperture e senza troppa prudenza. Sono stati scoperti uno scontrino di un ristorante da 700 euro e altri acquisti importanti. Come un latitante, il cui identikit è stato diffuso da anni, possa aver condotto una vita così normale e così imprudente è senz’altro un mistero. La fitta rete di coperture di cui ha goduto non può bastare a giustificare tanta “imprudenza”. Messina Denaro aveva veramente abbassato la guardia ? Gli interrogativi sono tanti e danno la stura anche a chi pensa che il boss abbia deciso di porre fine alla sua latitanza e, in qualche modo, favorire il suo arresto. Si tratta di ipotesi che, allo stato dei fatti, sembrano poco credibili; ma che si sono diffuse e che vengono sollevate da più parti, insieme ai tanti dubbi che questi trent’anni anni di latitanza hanno scatenato.

Il vescovo emerito di Mazara del Vallo, Giuseppe Mogavero (colui che dieci anni fa negò i funerali religiosi al boss Mariano Agate, scatenando la reazione forte della famiglia), ha celebrato la messa ieri in una chiesa di Campobello di Mazara. All’uscita dalla chiesa è stato intercettato dai giornalisti e ha invitato, ancora una volta, i cittadini a collaborare:

«Se non ci fossero state tante coperture, per affetto, per amicizia o per paura, sarebbe stato arrestato prima – ha detto Mogavero – In questi nostri ambienti non si può dire di no non per paura ma per intimità, per vita trascorsa insieme. Oggi ha vinto lo Stato, ora spero che vinca la nostra gente, che esca dalla situazione di paura e finalmente possano tutti esultare. Usciamo sulle piazze ed esprimiamo la nostra soddisfazione, ma anche il nostro no alla mafia e a tutti i malavitosi». Un vescovo nato a Palermo, che ha guidato per quindici anni la diocesi di Mazara del Vallo facendo scelte difficili e coraggiose, e conosce bene il suo territorio. Sa quanto male ha fatto Messina Denaro, su cui pendono numerose condanne già definitive e altri processi ancora in corso. È convinto che egli, come i grandi boss di mafia, non collaborerà con gli inquirenti: «Non è una persona per cui possiamo avere troppa pietà. È uno che ha ammazzato tanto, ha sparso tanto sangue, ha ucciso tanti innocenti, il bimbo (il riferimento è all’uccisione di Giuseppe Di Matteo, avallata dalla Commissione di Cosa Nostra e anche da Messina Denaro), non credo possa pentirsi, che abbia voglia di parlare».

Con l’arresto di Matteo Messina Denaro si chiude un’epoca: quella della commissione di Cosa Nostra che inaugurò la stagione stragista e la guerra allo Stato, culminato negli attentati e nelle stragi del 199/93 – Capaci, via D’Amelio, Roma, Milano, Firenze. Tutti i grandi boss sono in carcere, alcuni hanno saltato il fosso e hanno collaborato. Altri sono irriducibili e scontano l’ergastolo. Di recente, anche la premier Giorgia Meloni ha confermato la volontà di confermare l’ergastolo ostativo.

Non è affatto sconfitta la mafia che, come tutte le attività umane, muta nel tempo. Oggi primeggia la mafia degli affari. E di Messina Denaro si sanno già alcune cose su cui bisognerà ancora indagare: i conti in Svizzera, gli affari con il re dell’eolico Vito Nicastri, ritenuto il suo prestanome, prima condannato e poi assolto per associazione mafiosa. Affari, soldi, tanti soldi: Messina Denaro spendeva circa 10.000 euro al mese. Aveva dato lui ad Andrea Bonafede i soldi per acquistare la casa che è stata il suo ultimo rifugio.

Su tutto questo si dovrà ancora indagare.

 

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