Il grido di Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi ad Agrigento «Convertitevi! Una volta verrà il giudizio di Dio!» risuona ancora oggi. E non è rimasto inascoltato.
I trent’anni sono stati occasione di una profonda riflessione per la diocesi di Agrigento: un fitto calendario di appuntamenti ha caratterizzato questi giorni speciali. Da Cracovia, è arrivato un dono inaspettato: una reliquia di Giovanni Paolo II, una goccia del suo sangue, donata dal cardinale Stanislao, colui che fu il suo segretario personale per tutto il periodo del Pontificato e poi cardinale e arcivescovo di Cracovia, quella che era stata la diocesi di Woytila.
Cosa rimane oggi di quel grido imperioso che risuonò nella Valle dei Templi?
«Rimangono i contenuti, il messaggio forte che ci ha lasciato – spiega monsignor Alessandro Damiano, nuovo arcivescovo di Agrigento, che da circa un anno è subentrato al cardinale Francesco Montenegro –. Le parole del papa furono un fuoriprogramma. Nell’omelia Giovanni Paolo II aveva già delineato l’emergenza mafia. Alla fine della celebrazione, quel grido «Convertitevi», con tutta la potenza delle sue parole, sono un forte messaggio evangelico. È un grido di condanna, ma è anche e soprattutto un grido di apertura. È un appello agli uomini del male a cambiare vita. Da quel messaggio è partito un profondo processo di rinnovamento. Eravamo negli anni delle stragi. Era stato ucciso il giudice Saetta, il giudice Livatino. Livatino è un laico, un laico consapevole del proprio battesimo, coniugato in uno stile di vita. Dal suo battesimo discende l’impegno a vivere per la legalità e la giustizia. La legalità è il piano inferiore, la giustizia sta al piano superiore. La giustizia è qualcosa di più dell’osservanza delle leggi. In Livatino, ligio al dovere, c’è una tensione costante alla giustizia, incarnata nelle scelte del quotidiano. Livatino tende alla giustizia.
Prima di allora, la chiesa agrigentina aveva prodotto documenti importanti contro la mafia. Aveva avviato una riflessione matura, adulta. Dopo quel grido nella Valle dei Templi questa consapevolezza è cresciuta. Ed è un cammino che prosegue ancora oggi. Oggi c’è la consapevolezza più adulta, più forte, che l’atteggiamento mafioso è contrario al Vangelo. Dobbiamo sempre più incarnare questi principi nella quotidianità, uscire dalla logica del clientelismo, del favoritismo. Bisogna individuare e allontanare la mentalità mafiosa, che spesso non è ancora criminale, ma che è frutto di una mentalità di prevaricazione. Bisogna perseverare, come leggiamo nel Vangelo: «Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime». Questa perseveranza c’è. Proprio nei giorni scorsi è stato siglato un protocollo d’intesa tra la Conferenza episcopale siciliana e la Commissione regionale Antimafia. È stato costituito un “Osservatorio permanente sulla diffusione della legalità”. Sono passi importanti che possono aiutare a percorrere questo cammino di conversione e di rinnovamento».
Il protocollo d’intesa è stato firmato dal presidente della Cesi, monsignor Antonino Raspanti e dal presidente della Commissione Antimafia all’Assemblea regionale siciliana, Antonello Cracolici. L’Osservatorio avrà sede a Palermo, presso la Conferenza episcopale siciliana: sarà composto da cinque esperti nominati dalla Cesi e cinque nominati dalla Commissione d’inchiesta e vigilanza sul fenomeno della mafia e della corruzione in Sicilia. È prevista la creazione di nuovi centri di aggregazione nelle diocesi per la diffusione della cultura della legalità.
Combattere la mafia significa combattere per primo l’atteggiamento mafioso, ben più diffuso e capillare, talvolta difficile da individuare e da estirpare. «La mentalità mafiosa è come la zizzania – continua monsignor Damiano – il suo nome scientifico è loglio ubriacante. Il suo chicco è molto simile al chicco di grano, talvolta difficile da distinguere, cresce tra le spighe e si confonde con esse. Così è l’atteggiamento mafioso: non ci si accorge facilmente di esso finché non si è in grado di guardare con attenzione oltre le apparenze. Bisogna parlare per smascherare gli atteggiamenti mafiosi. Bisogna creare, con le nostre azioni quotidiane, pillole di cambiamento, proprio come Rosario Livatino».
Ida Carmina, oggi parlamentare nazionale, fino a due anni fa sindaco di Porto Empedocle, ricorda bene quei giorni speciali. «Il papa parlò nella Valle dei Templi, nella piana San Gregorio: è una zona vicinissima al luogo dell’eccidio di Livatino, che si trova ad appena uno o due chilometri. Il papa lo sapeva: e non poteva non vedere il contrasto tra la bellezza di quella Valle e i luoghi dove si era consumato un efferato assassinio. Aveva incontrato poco prima i genitori di Livatino e tutto questo era per lui molto presente. Mi hanno colpito le sue parole: «Lo dico ai responsabili!». Giovanni Paolo II non ha parlato solo ai mafiosi, ma a tutti coloro che, in qualche modo, sono “responsabili” di alimentare la cultura mafiosa. Responsabile è il colluso, l’omertoso, il rassegnato, chi vive di clientele e magari vota in modo clientelare. Ha invitato tutti noi ad una conversione del cuore e dei comportamenti. Questo anatema scosse le coscienze. E non fu un caso se appena qualche mese dopo, nel settembre del ’93, venne ucciso padre Pino Puglisi. Fu la risposta della mafia alla Chiesa che, in modo forte, aveva detto no alla mafia e aveva invitato al cambiamento».
Il sindaco di Agrigento, Franco Miccichè: «Accogliamo questo trentesimo anniversario con molta gioia. Quelle parole sono state importanti per noi siciliani. Da allora la cultura, in qualche modo, è cambiata, la coscienza civile è cresciuta. I giovani sono cambiati, è cambiato il loro rapporto con le istituzioni, molto più maturo. La mafia non ha più lo stesso richiamo, il carisma di quell’uomo che trent’anni fa ha gridato nella Valle dei Templi ha lasciato il segno. Sentiamo l’attenzione dell’intera Italia su questo momento, con il fitto calendario di appuntamenti organizzati dalla Diocesi, con la presenza della Rai in Cattedrale domenica scorsa.
E questo trentesimo anniversario arriva proprio quando Agrigento ha ottenuto un riconoscimento importante: sarà Capitale italiana della Cultura nel 2025. E Agrigento è capitale non solo di cultura, per la sua storia millenaria. Cultura significa anche “scambi culturali”: la nostra esperienza di accoglienza di migranti e profughi di paesi diversi ci proietta a vivere tutto questo. Noi accogliamo popoli di diverse culture, siamo crocevia di nuovi orizzonti culturali. Anch’io, nella mia vita professionale, ne ho fatto l’esperienza: come medico di igiene pubblica ho visitato migliaia di migranti. È un’esperienza che mi ha arricchito. Giovanni Paolo II definì Agrigento «Città della Concordia e della Bellezza». Le sue parole profetiche si proiettano fino alla nostra storia di oggi».
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